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Alessandro De Angelis e Gabriella Cerami per “L'Huffington Post”
VIGNETTA DI VINCINO - RENZI E MARINO
È di fronte al muro di Matteo Renzi che Marino pare aver perso quella che fino a pochi giorni fa chiamava “la freddezza del chirurgo”. Ora nel bunker aleggia il calore della paura: “Si ragiona ad horas - dicono nella cerchia ristretta – ma nulla è deciso. Potrebbe ritirare le dimissioni già stasera e non aspettare domenica. O forse domani. Tanto a questo punto non cambia…”. Il marziano in pubblico ostenta sicurezza: "La giunta - dice inaugurando un ponte alla periferia di Roma - lavora e va avanti. Ha rappresentato la discontinuità rispetto alla corruzione". Ma la verità è che adesso Marino ha davvero paura di un atterraggio spericolato nell’Aula Giulio Cesare.
È sempre più solo. Tornare indietro, dopo i proclami di domenica, è impossibile. Andare avanti è sinonimo di schianto. Perché da palazzo Chigi non sono arrivati segnali, dopo che giorni fa il sindaco aveva chiesto un incontro. In Transatlantico l’ex assessore Stefano Esposito scherza con Ernesto Carbone, falco renziano: “Matteo – si dicono – non vuole neanche vederlo. Se lo riceve, lo fa il minuto dopo le dimissioni”.
Poi, battute perché potrebbe essere il giorno dei Santi. O quello dei morti. Interrotte le comunicazioni anche col presidente del Pd Matteo Orfini, il regista della lettera con cui 19 consiglieri, di fatto, hanno scaricato il sindaco. Proprio con i consiglieri, il presidente del Pd ha già preparato la contromossa nel caso Marino voglia affrontare l’Aula.
Fabrizio Panecaldo, il capogruppo del Pd in Campidoglio: “Io sono per non votare nessun atto insieme alle destre”. Significa che, quando il sindaco chiederà di andare avanti, il gruppo del Pd uscirà dall’Aula: “Di certo – spiegano al Nazareno – non gli facciamo il favore di votare assieme ai partiti che sostenevano Alemanno in modo da fargli urlare che è vittima di Mafia Capitale”.
Un muro. A cui si aggiunge il crescente fastidio dei suoi assessori più importanti. Alfonso Sabella, l’uomo della discontinuità vera al Comune, ha già detto a Marino: “Io mi fermo qui, non parteciperò a una nuova giunta”. Con lui non solo Stefano Esposito, Marco Causi e Rossi Doria, ma anche Maurizio Pucci e Luigina Di Liegro. Stefano Esposito a Mezzogiorno ha già finito il primo pacchetto di sigarette: “Io – dice accartocciandolo – sono sicuro che cederà. E rinuncerà ad andare in Aula. Ormai è senza via d’uscita”.
E chissà se il riferimento è solo alla politica. Matteo Orfini e Alfonso Sabella sono due che, con la procura, hanno un filo diretto. È sulla base di un lavoro di confronto comune con gli inquirenti di Mafia Capitale che l’uno (Orfini) ha messo mano al partito e l’altro (Sabella) ha iniziato la bonifica dei settori più fertili per Mafia Capitale nell’amministrazione. I due, negli ultimi giorni, si sono sentiti più volte, maturando la convinzione che i guai di Marino in procura non sono finiti. A partire dalla vicenda degli scontrini. Il sindaco dimissionario sperava in un un’archiviazione definitiva, che gli desse anche più forza per andare in aula Giulio Cesare e affrontare chi lo vuole accoltellare.
Invece non solo non è arrivata, ma il fascicolo, in procura, è ancora aperto, anche se Marino non risulta tra gli indagati. E poi c’è l’inchiesta sulla Onlus da lui fondata, su cui è aperta un’indagine per truffa ai danni dello Stato, notizia riportata dal Tempo e da Libero. Il sindaco non risulta indagato. Ma fonti solitamente ben informate hanno maturato la convinzione che la storia sia solo all’inizio.
2 - MARINO IN TRINCEA CERCA LA MINORANZA PD E CHIAMA BERSANI. LUI: “FAI CIÒ CHE TI SENTI”
Luca De Carolis per “Il Fatto quotidiano”
Il marziano cercava consigli, forse un appoggio formale. Ha trovato solidarietà, e un suggerimento: “Fai quello che senti, ma caricare questa vicenda di significati politici nazionali non avrebbe senso”. Dalla sua trincea in Campidoglio, domenica 25 ottobre Ignazio Marino ha telefonato a Pier Luigi Bersani. Il sindaco dimissionario sperava in un sostegno della minoranza dem.
Quella che pure è stata gelida nei confronti della sua elezione e del suo mandato. Ma che venerdì scorso, quando la direzione nazionale del Pd ha votato sul rinnovo dell’incarico di commissario del partito romano a Matteo Orfini, ha mostrato pollice verso con i suoi otto no. Un atto simbolico, a fronte dei 181 sì. Ma Marino ha ugualmente notato quelle spalle girate al suo primo avversario. E ha cercato Bersani. Il colloquio è stato “molto cordiale”, raccontano.
L’ex segretario dem gli ha manifestato calore e dispiacere per “una vicenda pesantissima”. Lo ha ascoltato. Ma non si è spinto più in là. “Non ho dato consigli, non ne do mai” ha spiegato Bersani ai suoi. Però un’indicazione gliel’ha data: “Questa è una vicenda da non politicizzare sul piano nazionale, valuta tu il da farsi in base a come ti senti e al bene della città”. Tradotto, almeno per come l’ha capita Marino: non andare dritto contro Renzi. Parole comunque importanti per il sindaco.
Convintosi ormai dell’esigenza di non attaccare frontalmente il rottamatore, e di non rinnegare il Pd. “Io l’ho fondato questo partito” ha rivendicato domenica al microfono, arringando i sostenitori in piazza del Campidoglio. Marino vuole presentarsi come un democratico, ingiustamente vilipeso dal Pd. E gioca di contropiede, con i dem che annaspano e prendono tempo. Lo confermano i tormenti dei 19 consiglieri comunali, che invocano l’intervento di Renzi per sbrogliare la matassa.
marino renzi foto mezzelani gmt325
Ieri mattina si sono riuniti, per poi partorire una nota attendista: “Ribadiamo che il gruppo consiliare e il Partito democratico sono tutt’uno nel giudicare l’amministrazione Marino. La posizione assunta dal Pd nazionale e da tutti noi non è mai cambiata rispetto al 12 ottobre, quando il sindaco ha presentato le dimissioni, ogni futura decisione sarà condivisa e concordata con il partito”.
Un sostegno formale a Orfini, che ad oggi non controlla un gruppo spaccato. Lo ammette lo stesso capogruppo Fabrizio Panecaldo: “Ognuno di noi ha una posizione diversa: io sono per non votare nessun atto contro il sindaco insieme alle destre”. Impossibile, insomma, convincere tutto il gruppo a votare la sfiducia assieme a Fi e ai 5 Stelle. Che non a caso, con Marcello De Vito, pungono: “Siamo pronti a una mozione congiunta con il Pd per sfiduciare Marino, la smettano di giocare a poker”.
RENZI FA CAMPAGNA ELETTORALE PER MARINO
Panecaldo appare invece più possibilista riguardo a eventuali dimissioni, “a patto che il quadro muti”. Ma anche se lasciassero tutti e 19 non basterebbe, perché subentrerebbero i non eletti. Per staccare la spina a Marino servirebbe che si dimettessero 25 consiglieri su 48: un favore che le opposizioni non sono disposte a concedere.
Il rischio concreto è che il Pd rimanga sulla graticola fino al 2 novembre, data ultima per il ritiro delle dimissioni da parte di Marino. Senza dimenticare che il 5 novembre inizia il processo perMafia capitale, con tanti ex dem alla sbarra. “Se il sindaco ci chiama per un confronto noi andiamo” assicura Panecaldo. Valeria Baglio, presidente d’aula e vicina al sindaco, allarga: “Scegliere le sorti della Capitale è una responsabilità che deve essere affrontata dal Pd nazionale”.
Ossia, serve un segnale di Renzi, quello che Marino chiede da due settimane. Si vocifera che renziani di peso spingano sul premier per un suo intervento. Intanto Gianluca Peciola (Sel) rilancia: “I sindaci non si sfiduciano a distanza, Marino deve venire in aula ed essere ascoltato: se propone un programma valido ci confronteremo”. Ma il tempo corre. Marino ha ancora sette giorni per deporre le armi o restare marziano, fino in fondo.
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