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Roberto Mania per “la Repubblica”
Mario Draghi ha deciso di scrivere personalmente il nuovo Recovery Plan italiano. Lo farà insieme al ministro dell' Economia, Daniele Franco, e a un gruppo ristrettissimo di consiglieri tra i quali il bocconiano Francesco Giavazzi e l' esperto di diritto amministrativo comparato Marco D' Alberti, professore alla Sapienza di Roma. Due mesi di tempo, perché entro la fine di aprile il piano va presentato alla Commissione di Bruxelles.
Poi non potrà più essere cambiato, le ultime erogazioni (in tutto sono circa 209 miliardi per l'Italia) arriveranno - rispettando i tempi e le condizioni fissati dalla Commissione Ue nel 2026, le prime (il 13 per cento del totale) entro l' estate. Dunque 60 giorni - dopo gli errori commessi dal precedente governo - per disegnare il nuovo modello di sviluppo del Paese spinto da quello che l' Europa ha appunto chiamato Next Generation Eu.
Un' occasione irripetibile, la più importante operazione di politica economica dal dopoguerra ad oggi, la ricostruzione di un Paese che nel 2020 ha ridotto la ricchezza nazionale di quasi il 9 per cento, perso poco meno di mezzo milione di posti di lavoro e centinaia di migliaia di piccole imprese. Per recuperare i tassi di attività pre-Covid bisognerà aspettare la fine del 2022. La lotta al virus, attraverso un piano di vaccinazioni di massa, e il rilancio economico, attraverso il Recovery Plan, sono le due priorità di Draghi. E camminano di pari passo.
Il fatto che sia lo stesso presidente del Consiglio a riscrivere il Piano dà garanzie anche all' Europa, la quale durante la stesura del progetto da parte del Conte 2 aveva ripetutamente lamentato i ritardi nella definizione e l' assenza di un disegno strategico. Perché le risorse che l' Europa ha stanziato, per la prima volta in una logica di condivisione del debito (l' Italia è il maggiore beneficiario dal momento che è il Paese che più è stato danneggiato in termini economici dal Covid 19), devono essere spese secondo criteri ben precisi e sotto il controllo costante della Commissione.
Bisogna indicare non solo i progetti ma anche le conseguenze economiche sull' intero sistema e sui livelli occupazionali, altrimenti non si riceveranno le tranche successive alla prima. Questo compito di governo del complesso e articolato processo è stato affidato al ministero dell' Economia, come hanno fatto altri Paesi europei a cominciare dalla Francia.
Si consolida così l' asse Draghi- Franco. Entrambi dalla Banca d' Italia, entrambi con un passato dentro la macchina del ministero di Via XX settembre, il primo come direttore generale negli anni Novanta, il secondo come Ragioniere generale dello Stato dal 2013 al 2019. Franco ha già avviato le consultazioni e il monitoraggio necessari ai vari livelli.
FRANCESCO GIAVAZZI - DALLA SUA PAGINA FACEBOOK
L'idea di Draghi, con l' alleanza di Franco, è di rilanciare la capacità di elaborazione del ministero e della Ragioneria, forte proprio della conoscenza che ha di quella struttura amministrativa. Negli ultimi decenni il lavoro della Ragioneria, in particolare, si è dovuto concentrare nelle operazioni di copertura finanziaria. Tappar e i buchi, insomma, provocati da alcune scelte della politica: si pensi, da ultimo, allo scontro tra Daniele Franco, allora Ragioniere, e il governo gialloverde Conte 1 sulle coperture per Quota 100 per il pensionamento anticipato e il reddito di cittadinanza.
Ora si chiede al ministero di modificare l' approccio e passare dalla ricerca delle coperture finanziarie alle proposte di politica economica. Insomma di contribuire a pensare la politica economica di cui il Recovery Plan fa decisamente parte. Svolta molto apprezzata - va da sé - dai dirigenti del ministero coinvolti in questa operazione e che si erano sentiti messi ai margini sia dal precedente ministro dell' Economia, Roberto Gualtieri, che - a loro dire - aveva lasciato troppo spazio all'impostazione dell' allora premier Giuseppe Conte, sia dal precedente titolare degli Affari europei, Vincenzo Amendola, nell' interlocuzione fondamentale con la Commissione di Bruxelles.
Conte - si ricorderà - aveva messo in piedi una governance assai barocca incardinata su un vertice a quattro (Conte con i ministri Gualtieri, Amendola e Stefano Patuanelli dello Sviluppo economico), con sotto sei manager responsabili delle sei missioni del piano e sotto ancora circa 300 manager. Un modello piramidale bocciato dalla maggioranza del Conte 2.
Accanto alla struttura pubblica (che tuttavia paga anni di scarsa progettazione e l' assenza di un ricambio generazionale del persona-le), Draghi punta a coinvolgere i privati. Lo ha detto nel suo discorso programmatico al Senato. Serviranno partnership con i grandi gruppi, molti dei quali a controllo pubblico (dall' Eni all' Enel, alla Snam) per selezionare i progetti e poi calarli a terra. Per la pubblica amministrazione italiana una sfida senza precedenti.
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