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Giuseppe Baldessarro per "La Repubblica"
«Qui non resisto più, torno in Italia e affronto quel che c’è da affrontare ». Amedeo Matacena ha deciso e ieri ha comunicato la scelta con una email ai suoi avvocati, che ne hanno parlato con i familiari dell’armatore ancora latitante a Dubai. In una lunga missiva, i cui contenuti sono blindati, l’ex parlamentare di Forza Italia, condannato in via definitiva a cinque anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, dice di volersi consegnare alla magistratura italiana attraverso i canali ufficiali.
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È quindi possibile che già nelle prossime ore prenda contatto con il consolato italiano negli Emirati Arabi. Una decisione accolta positivamente sia dalle persone che gli sono più vicine sia dagli avvocati. In tanti, anche prima dell’esito del Riesame che ieri ha confermato il carcere per la moglie Chiara Rizzo e concesso i domiciliari all’ex ministro Claudio Scajola, gli avevano consigliato di consegnarsi.
Matacena non fa mistero della preoccupazione che più di ogni altra lo “schiaccia”: i figli,
soprattutto il più piccolo dei due, rimasti senza genitori a Montecarlo. Nelle scorse settimane, aveva annunciato di voler attendere l’esito dei ricorsi in Cassazione e alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, ma ora le cose sembrano cambiate.
CHIARA RIZZO MATACENA CONSEGNATA ALLA POLIZIA ITALIANA AL CONFINE CON LA FRANCIA
Matacena non ha mandato giù la decisione dei giudici di confermare il carcere alla Rizzo che, a questo punto, resta l’unica indagata ancora reclusa. Anche gli avvocati Carlo Bondi e Candido Bonaventura ieri hanno parlato di «due pesi e due misure». È il secondo colpo per la Rizzo nel giro di pochi giorni. Ieri Lady Matacena ha accolto la notizia in lacrime: «Ma come, tutti fuori e io no? Cosa ho fatto più degli altri?».
I legali parlano di una donna «scossa», contava infatti di aver chiarito ogni aspetto della vicenda nella quale è accusata per il tentativo di spostare da Dubai a Beirut il marito, e per la presunta operazione di schermatura dei patrimoni di Matacena, attraverso una serie di operazioni societarie.
CHIARA RIZZO MATACENA CONSEGNATA ALLA POLIZIA ITALIANA AL CONFINE CON LA FRANCIA
A poco sono quindi serviti gli interrogatori nei quali la donna si diceva «assolutamente estranea a giochi societari e conti correnti». Aveva sostenuto che Scajola l’aveva aiutata perché «lei aveva bisogno», anche se poi «all’ex ministro era salito il sangue alla testa», fino a farle «varie scenate» che «ho difficoltà a raccontare».
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Per la Rizzo non c’era nulla di illecito anche se «il Ministro» era «ossessivo» e parlando di Francesco Bellavista Caltagirone la rimproverava: «Mi diceva … ah a mo perché tu devi frequentare quella casa? Perché ogni tanto vai a nuotarci? Dice perché sa quelle cose si vengono a sapere.... e quindi mi diceva che era una persona un po’ così… una persona poco e… anzi vuol sapere la verità lo chiamava “l’orco”».
I giudici non le hanno creduto. E non hanno creduto a Scajola che ha raccontato ai magistrati come la Rizzo vivesse sì a Montecarlo, ma in «poco più di 50 metri quadrati, dove non c’era spazio neppure per un tavolo, tanto che era costretta a mangiare seduta sul letto».
Resta dunque in piedi la tesi dei sostituti Giuseppe Lombardo (Dda) e Francesco Curcio (Dna), per i quali la donna è invece al centro di un articolato sistema dai contorni poco chiari. Un’ipotesi che già sabato scorso era stata accolta dal Gip di Reggio Calabria Olga Tarsia che aveva respinto una prima richiesta di scarcerazione.
CHIARA RIZZO MATACENA
CHIARA RIZZO MATACENA
Per il giudice la Rizzo era «principale interlocutrice di Scajola, il soggetto in grado di muoversi più agevolmente nella estesissima rete di contatti “accreditati” a diversi livelli in grado di ottenere guarentigie e favori per sé e per il coniuge, ancorché nei confronti dello stesso penda una richiesta di divorzio».
La detenzione in carcere era necessaria perché la Rizzo poteva ancora mettersi in contatto con Matacena e inquinare le prove. Anche per questo l’armatore avrebbe deciso di rientrare nella speranza di “eliminare” una delle cause della permanenza in cella della moglie.
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