DAGOREPORT – REGIONALI DELLE MIE BRAME! BOCCIATO IL TERZO MANDATO, SALVINI SI GIOCA IL TUTTO PER…
Francesca Schianchi per la Stampa
Viene dai territori il freno alla corsa al voto. Da Milano come da Catania o da Bergamo, è il fronte dei sindaci a nutrire le perplessità maggiori dinanzi all' idea di lanciarsi in un precipitoso conto alla rovescia verso le urne. Proprio quelli che, parola del segretario Renzi, costituiscono l' ossatura del partito da valorizzare, come ha detto nel corso di un' iniziativa a loro dedicata lo scorso weekend a Rimini.
«Non sono convinto che sia bene forzare sulle elezioni: l' ho detto a Matteo, credo che qualche mese in più per ricostruirsi farebbe bene anche al Pd», spiegava proprio domenica nella città romagnola Giorgio Gori, oggi sindaco di Bergamo, renziano prima che molti dessero la minima fiducia a Renzi. Parole simili a quelle di altri amministratori, come il sindaco di Milano Giuseppe Sala, che ha definito in una lettera aperta sul «Corriere della sera» la corsa al voto «né scontata né opportuna». O ancora il catanese Enzo Bianco: «Gentiloni sta svolgendo un ruolo rasserenante e sta svelenendo il clima: lasciamolo lavorare e portare a termine alcune riforme avviate da Renzi. Si faccia una buona legge elettorale e dopo si vada al voto».
Inviti alla calma e alla riflessione che arrivano anche dai governatori delle aree terremotate. Dalla umbra Catiuscia Marini al laziale Nicola Zingaretti all' abruzzese Luciano D' Alfonso, è un coro unico: sono altre le priorità, nei territori sconvolti dal sisma, non le elezioni anticipate. Richiami che, da Nord a Sud, vengono convogliati verso la sede nazionale di Largo del Nazareno in cui è in corso invece un' accelerazione.
Renzi a «Di martedì» rilascia una dichiarazione per assicurare che «per me votare nel 2017 o nel 2018 è lo stesso», e «l' unica cosa è evitare che scattino i vitalizi perché sarebbe molto ingiusto verso i cittadini, sarebbe assurdo».
I vitalizi scatteranno a settembre, quindi si tratterebbe di votare prima (o di cambiare le norme sulle pensioni dei parlamentari), a giugno. Ieri sera alla sede nazionale del partito era previsto un incontro dei vertici per stendere un calendario di incontri con le altre forze politiche: obiettivo, verificare se esistano le condizioni per modificare la legge elettorale. Già da oggi potrebbero iniziare le trattative, dall' alleato di governo Ncd. Per poi tirare le somme alla Direzione del 13 febbraio.
Un percorso fuori dal Palazzo che vorrebbe fare da preliminare a quello istituzionale. Ieri il M5S ha chiesto che si inizi a discutere in Parlamento, e in serata i capigruppo hanno fissato una data: il 27 febbraio la legge approderà in Aula: «Ci auguriamo di avere il testo di legge da inviare al Senato entro marzo», l' auspicio del grillino Luigi Di Maio. Che si può avverare, grazie al contingentamento dei tempi, ma solo se entro quella data la Commissione avrà finito il suo lavoro.
Intanto però al Nazareno si predispongono consultazioni «informali» per capire come si possa intervenire sulla legge. A annunciarle è stato il presidente Orfini, convinto che, mentre la minoranza è contraria alla corsa al voto e si dibatte nell' ipotesi scissione, tutta la maggioranza del Pd sia d' accordo su un' accelerazione. «Se il percorso è ordinato, ci stanno tutti», dicono i renziani. La pressione più forte per rallentare il percorso è quella del territorio.
Sindaci renziani che il segretario vorrebbe portare nella nuova segreteria, i frontmen del partito capaci di raggranellare voti e fiducia dai cittadini. E che non fanno che ripeterglielo: «Matteo, aspetta, non correre».
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