DAGOREPORT - TONY EFFE VIA DAL CONCERTO DI CAPODANNO A ROMA PER I TESTI “VIOLENTI E MISOGINI”? MA…
Serena Riformato per “La Stampa” - Estratti
La notizia arriva nel tardo pomeriggio, quando mancano poche ore alla puntata di Report che da giorni fa tremare le mura del Collegio Romano: la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro della Cultura Alessandro Giuli si sono visti per un lungo pranzo domenicale. Circa tre ore.
Da Palazzo Chigi filtrano poche informazioni.
La scelta delle parole punta con cura a blindare la posizione del ministro: l'incontro è stato «conviviale e sereno», precisa lo staff della premier, i due «sono stati bene», hanno mangiato e poi discusso «del programma del ministero per i prossimi tre anni». Per i prossimi tre anni. L'orizzonte temporale – la fine della legislatura – viene ripetuto e sottolineato.
Il messaggio della presidente del Consiglio è chiaro: Giuli non va da nessuna parte.
Dopo le rassicurazioni della sorella Arianna Meloni a La Stampa («Fratelli d'Italia sostiene il ministro»), la premier tenta di archiviare in fretta la settimana che ha portato l'inquilino del Collegio Romano sull'orlo del precipizio: le dimissioni del capo di gabinetto Francesco Spano, i veleni interni al partito, le liti avvenute davanti agli occhi dei giornalisti, le voci sul neo-ministro già esasperato e tentato dal passo indietro. Meloni ha percepito un rischio reale e ha cambiato strategia.
Fino a mercoledì scorso, il giorno delle dimissioni di Spano, aveva fatto di tutto per tenersi fuori dalla vicenda: «Non me ne sono occupata, non ho incontrato Giuli».
Ma lo stillicidio quotidiano ha continuato ad alimentare la frana e la leader di Fratelli d'Italia è scesa in campo personalmente per mettere al sicuro il neo-ministro.
Non a caso, lo ha fatto nello stesso giorno in cui Report ha mandato in onda una lunga inchiesta sulla crisi del ministero della Cultura negli ultimi mesi, dalla gestione Sangiuliano alle grane del successore:
(...)
ALESSANDRO GIULI PRESTA GIURAMENTO DA MINISTRO DELLA CULTURA AL QUIRINALE
Meloni vuole far capire che bisogna andare avanti, pensare alle cose da fare. Tante, perché il Collegio Romano è congelato da mesi, sospeso nel tempo dell'incertezza fra uno scandalo e l'altro, un ministro e l'altro.
La lista è lunga. Secondo un approfondimento del Sole 24 ore, al momento, un terzo dei musei autonomi – 21 su 67 – è senza direttore. Fra questi, ci sono siti di massima rilevanza: il Parco Archeologico del Colosseo, il polo accorpato della Galleria dell'Accademia e di Musei del Bargello a Firenze, il Museo archeologico nazionale di Napoli, il complesso che raggruppo Pantheon e Castel Sant'Angelo e il Complesso Monumentale della Pilotta a Parma. I tempi sono lunghi, ogni bando richiede almeno sei mesi. La situazione rischia di trascinarsi fino a metà del prossimo anno.
E poi ci sono gli effetti collaterali della lunga gestazione della riforma sul tax credit: il settore è rimasto bloccato per mesi, i decreti attuativi sono arrivati meno di dieci giorni fa. Al ministero stimano che il ritardo abbia fatto perdere a Cinecittà il 60 per cento delle produzioni solo da gennaio a giugno 2024. Nel frattempo, anche il MiC deve versare il proprio obolo alla manovra: un 5 per cento di tagli su 3, 5 miliardi, un bilancio già piccolo rispetto agli altri dicasteri.
La prima partita da chiudere sarà quella delle nomine all'interno del Collegio Romano. Il ministro ha una scadenza indicata da Palazzo Chigi: non più tardi di dicembre. La priorità è trovare un nuovo capo di gabinetto, dopo la cacciata di Francesco Gilioli e i nove giorni lampo di Francesco Spano. Per il posto sarebbe effettivamente stata contattata Cristiana Luciani, che lavora Garante della Privacy ed è moglie di Luca Sbardella, deputato di FdI. Ma l'avvocata non avrebbe dato la propria disponibilità, secondo fonti del ministero della Cultura. E come lei, altri funzionari si starebbero tenendo alla larga dal ruolo, intimoriti dalla velocità con il quale sono stati bruciati i predecessori.
Di certo, per ora, più che un programma Giuli ha cominciato a definire un manifesto: «Vorrei smettere di dire che c'è un centro di ricchi e una periferia di poveri senza cultura, – ha detto in un'intervista su Rai Radio 3 – fare in modo che tutti possano occuparsi di cinema, spettacolo e arti sapendo che non ci può essere diaframma ideologico in questi temi e, soprattutto, vorrei abbassare la conflittualità». A chiudere, una nota auto-ironica, una risata accennata: «Quindi probabilmente fallirò».
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