RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Emanuele Lauria per “la Repubblica”
roberto gualtieri luigi di maio
I numeri per un sì incondizionato alla riforma del Mes non ci sono. E ora la maggioranza ha una settimana di tempo per venir fuori dal tunnel in cui si è cacciata, ed evitare o in qualche modo rendere digeribile un voto d' aula rischiosissimo per il premier Giuseppe Conte. Prima ancora che Berlusconi si sfilasse ufficialmente, beffando chi sperava comunque nel soccorso azzurro, lunedì sera i 5 Stelle hanno tenuto una riunione di gruppo molto tesa in Senato.
QUIRINALE REPARTO MATERNITA' BY MACONDO
Nel mirino il ministro pd Roberto Gualtieri, accusato di avere illustrato alle commissioni parlamentari, con la logica del "pacchetto unico", decisioni già prese e blindate. Senza neppure la possibilità di una ratifica.
Ma il malumore dei grillini a Palazzo Madama ha investito anche il reggente Vito Crimi (assente alla riunione), che nella stessa giornata aveva assicurato il via libera del Movimento alla riforma del fondo salva Stati, precisando che è cosa diversa dall' utilizzo - sempre contestato dai 5S - dello strumento di credito.
giuseppe conte e olivia paladino arrivano a ceglie messapica
I senatori che hanno partecipato all' incontro, circa la metà del totale, hanno più o meno apertamente bocciato questa linea: tra i più duri i membri delle commissioni Bilancio e Finanze, dibattistiani come Barbara Lezzi ma anche altri colleghi quali Danilo Toninelli e Mattia Crucioli. «Forse - attacca quest' ultimo - quella di Crimi è una posizione personale. Si è forse consultato con i gruppi? Si è forse votato su Rousseau?».
Il senatore ligure fa sapere che sta lavorando con i colleghi delle commissioni competenti a una risoluzione che almeno porti al rinvio della firma del trattato. Ma quale sia il clima, fra i 5 Stelle, lo fa capire il romano Emanuele Dessì: «La posizione maggioritaria è sicuramente contraria a un sì secco alla riforma. C' è chi proprio non è disposto a votarla e chi invece potrebbe anche farlo a patto che venga messo nero su bianco che non utilizzeremo mai i soldi del Mes».
Però è un punto, questo, che il Pd non può accettare, perché in netta contraddizione con la propria politica. E se Crimi, ieri mattina, ancora difendeva la via di un voto solo per aderire al trattato («Chi si esprimerà diversamente lo farà per una scelta fuori dalla linea del Movimento »), Di Maio a ora di colazione utilizzava termini più duri, più vicini alla pancia dei parlamentari.
Parlando di "riforma peggiorativa" di un Mes «che comunque non avrà mai i numeri in aula».
DAVIDE CASALEGGIO LUIGI DI MAIO VITO CRIMI
Il meccanismo di stabilità è diventato una trappola. Che proprio al Senato, il 9 dicembre, potrebbe incastrare Conte. Il sì incondizionato dell' Italia al trattato sul Mes, che il premier vuole portare al successivo Consiglio europeo, a Palazzo Madama non ha al momento neppure la metà dei 92 voti in mano ai grillini. Consensi che i forzisti, che hanno 52 seggi, potrebbero garantire solo disobbedendo in massa alla nuova linea di Berlusconi.
Ma si arriverebbe di fatto ad un cambio di maggioranza e dunque ad una possibile crisi. E non è che pure alla Camera non manchino i distinguo dei 5S. Basti rileggere le parole di deputati come Cabras, Maniero, Trano che segnalano il pericolo di un "tradimento" dei principi del Movimento. Il dubbio concreto è che non basti più una risoluzione extra-light per far superare lo scoglio alla maggioranza.
Mentre il vicesegretario Andrea Orlando dà sfogo all' irritazione del Pd, dicendo che «Berlusconi è tornato all' ovile sotto l' ala di Salvini» e definendo «incomprensibile» la posizione dei 5Stelle.
In questo dicembre caldo un altro nodo da sciogliere, per Conte, è quello delle modalità di spesa del Recovery fund. Ancora Orlando auspica «una struttura di missione o comunque di supporto ai ministeri: 209 miliardi non si spendono con la burocrazia così com' è attualmente». E i ministri del Pd, diffidenti verso una tendenza accentratrice di Conte, lunedì sera hanno ragionato sull' ipotesi di una società, sganciata da Palazzo Chigi, che possa valutare in autonomia i progetti. La questione è tutt' altro che chiusa.
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