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CHE MI VENGA UN GOLFO! – A DOHA IL VERTICE STRAORDINARIO DEI PAESI ARABI E ISLAMICI, IN CERCA DI NUOVE REGOLE DI SICUREZZA DOPO IL RAID ISRAELIANO IN QATAR. SUL BANCO DEGLI IMPUTATI C’È ANCHE L’AMERICA – L’AMBASCIATORE SEQUI: “DOPO IL BLITZ DI ISRAELE A DOHA WASHINGTON APPARE MENO CREDIBILE. È QUESTO IL CUORE DEL PROBLEMA CHE TRUMP NON PUÒ ELUDERE: PER GLI STATI UNITI LA PARTITA È SU CREDIBILITÀ E COORDINAMENTO, E UNA RISPOSTA DI SOLI MESSAGGI POLITICI NON BASTA A RICUCIRE IL DANNO CON I PARTNER ARABI. A DOHA SI VALUTERANNO GARANZIE CONCRETE DA PARTE USA…”
Estratto dell’articolo di Ettore Sequi per “La Stampa”
Il vertice straordinario dei Paesi arabi e islamici che si apre oggi a Doha non è una semplice agenda d'emergenza: è un referendum sull'ordine regionale. Il raid israeliano sulla capitale del Qatar ha colpito un alleato chiave degli Stati Uniti e incrinato cinque equilibri precari: deterrenza, credibilità americana, normalizzazione, mediazione e prospettiva palestinese. Non a caso l'emiro Al Thani ha avuto colloqui con Trump, Vance e Rubio per ottenere garanzie [...]
DONALD TRUMP CON AL THANI IN QATAR
Il primo snodo è la deterrenza. La sicurezza israeliana si fonda sempre più su una "dissuasione per inasprimento": colpire la leadership di Hamas ovunque si trovi e alzare la soglia della forza, mentre prepara un'annessione esplicita in Cisgiordania.
Il secondo snodo riguarda l'alleanza con gli Stati Uniti. Washington affronta il dilemma di sempre: rischio di abbandono percepito dai partner arabi se non frena Israele, o rischio di indebolire Israele se non ne avalla l'aggressività.
A Doha emergerà una contraddizione: se Washington non era stata informata del raid, Israele agisce unilateralmente sotto l'ombrello Usa; se invece lo era, allora Washington ha avallato l'attacco. In entrambi i casi, Washington appare oggi meno credibile.
ettore francesco sequi foto di bacco (1)
È questo il cuore del problema che Trump non può eludere: per gli Stati Uniti la partita è su credibilità e coordinamento, e una risposta di soli messaggi politici non basta a ricucire il danno con i partner arabi. A Doha si valuteranno garanzie concrete da parte Usa: coordinamento preventivo, elenchi di obiettivi da non colpire e accordi sui sorvoli.
Il terzo snodo è la normalizzazione. L'Arabia Saudita, che già legava ogni apertura verso Israele a progressi sulla questione palestinese, vede ora chiusa la finestra politica: con un governo israeliano a trazione messianica e Netanyahu che esclude uno Stato palestinese, l'attacco in Qatar rende il costo di ogni intesa con Israele insostenibile.
donald trump e l'emiro sheikh tamim bin hamad al thani 1
Gli Emirati non stracceranno gli Accordi di Abramo, ma li raffredderanno. È il rovesciamento del 2020: allora annessione sospesa in cambio della normalizzazione; oggi la normalizzazione rischia di essere sacrificata all'annessione. Questo è il punto di rottura che Doha deve contenere.
Il quarto snodo è la mediazione per la liberazione degli ostaggi israeliani e l'individuazione di una nuova sede per Hamas. Se Doha si ritira, Ankara proverà a colmare il vuoto. Con canali su Hamas e 25.000 militari in Siria, la sovrapposizione con Iran e Hezbollah crea il rischio di incidenti con i turchi [...]
donald trump benjamin netanyahu
Il quinto snodo è il più sensibile per le opinioni pubbliche arabe. Gaza è il detonatore politico: l'emergenza umanitaria e il rifiuto della prospettiva di uno Stato palestinese trasformano ogni annessione israeliana in un moltiplicatore di violenza e in un punto di non ritorno nei rapporti con il mondo arabo.
Nel 2020 Israele rinunciò all'annessione in cambio della normalizzazione; oggi sembra disposto a sacrificarla pur di annettere Cisgiordania e forse Gaza. La risoluzione approvata ieri dall'Assemblea Generale Onu, la "Dichiarazione di New York", intende preparare il terreno a uno Stato palestinese e precede l'aumento dei riconoscimenti previsto alla prossima Assemblea Generale, dal 22 settembre.
Di fronte a questi nodi, le fratture intra-Golfo verranno per ora accantonate. Resta sullo sfondo il sostegno di Doha all'Islam politico, percepito da Arabia Saudita ed Emirati come una minaccia esistenziale perché offre una legittimità alternativa fondata sull'attivismo religioso-civile, in contrasto con la legittimità dinastica-tribale.
Il vertice di Doha non si farà però dettare l'agenda da questa diffidenza: l'urgenza è ristabilire regole di protezione del suolo del Golfo. Ma fratture mai del tutto sanate rendono difficile immaginare una solidarietà piena e priva di calcoli.
donald trump e l'emiro sheikh tamim bin hamad al thani 2
Non ci sarà una reazione militare, ma misure politiche e simboliche: congelamento o ritiro di ambasciatori da Emirati e Bahrein, restrizioni economiche, il probabile ritiro di Doha dalla mediazione sugli ostaggi e un inedito attivismo multilaterale (Assemblea Onu, Corte Internazionale di Giustizia) per spostare il costo della violazione di sovranità sul piano del diritto.
Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha già condannato l'attacco, aprendo la strada a un ricorso alla Corte. L'obiettivo del Vertice non è "punire Israele", ma aumentare il costo politico per chi colpisce un alleato del Golfo durante negoziati di cessate il fuoco. Nel frattempo, Il Cairo starebbe pianificando la creazione di una forza araba congiunta.
BENJAMIN NETANYAHU E DONALD TRUMP GUARDANO IL QUADRO FIGHT FIGHT FIGHT ALLA CASA BIANCA
Doha non produrrà una risposta militare. Ma se saprà trasformare l'indignazione in azione comune, Israele dovrà calcolare un costo politico per ogni raid. Se invece prevarrà l'ambiguità, il Medio Oriente entrerà in una fase di instabilità permanente, in cui nemmeno gli alleati americani potranno più sentirsi al sicuro.
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