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Tomaso Montanari per Il Fatto Quotidiano
Dopo essersi rifiutato di incontrare i soprintendenti che gli avevano scritto una lettera, ora il ministro uscente Lorenzo Ornaghi si appresta a salutare nientemeno che gli "ispettori onorari": un'improvvisa resurrezione di liturgie clientelari democristiane, una "mortificazione sistematica dei servitori dello Stato" (così hanno scritto a Ornaghi sessanta dei suoi funzionari).
Ma in giorni in cui si dimette il papa, figuriamoci quale attenzione può meritare l'uscita di scena dello scialbo sagrestano dei Beni culturali. Oltre che per le omissioni pilatesche, il ministero Ornaghi verrà soprattutto ricordato per il saccheggio dei Girolamini perpetrato dal consigliere del ministro; per l'abortito tentativo di scippare Brera al patrimonio della Nazione, per trasformarla in una fondazione locale e privata; e per una ridda di nomine ispirate all'incompetenza, e alle ferree leggi dell'appartenenza catastale.
Ed è proprio sulle nomine che Ornaghi chiude in bellezza: con l'ultimo schiaffo alla stragrande maggioranza, preparata e fedele alla Costituzione, dei funzionari del ministero che (non) ha diretto. Con una circolare, il ministro ha anticipato i termini delle scadenze di ben otto direttori generali (Puglia, Basilicata, Liguria, Sardegna, Piemonte e nientemeno che Lazio e Lombardia). Perfino il notarile QuotidianoArte.it si è chiesto "quale sia la motivazione di una così singolare celerità ", per rispondersi: "Forse, assicurare qualche incarico non facilmente rinnovabile altrimenti?". Per poi commentare, in modo difficilmente oppugnabile: "Un'ennesima dimostrazione di un Paese che non vuole cambiare".
Il sindacato autonomo dei Beni culturali è andato oltre, sostenendo che "il ministro Ornaghi pare intenzionato a riconfermare tutta la vecchia guardia, infischiandosene della direttiva del premier Monti e lasciando al prossimo governo un'eredità della vecchia politica", e auspicando "un intervento deciso del primo ministro affinché intervenga con urgenza sul ministro Ornaghi per far in modo di ripristinare la correttezza professionale e quella amministrativa, evitando i soliti inciuci dell'ultima ora".
Ma a chi giova tutto ciò? Una risposta è venuta dal direttore regionale del Molise Gino Famiglietti, il quale è stato insignito da Italia Nostra del premio Zanotti Bianco per la tutela, ed è stato più volte minacciato di morte per il suo efficace e coraggioso contrasto all'eolico selvaggio e illegale che aggredisce il Molise. Una lotta davvero difficile: di queste ore è la notizia che l'ex soprintendente archeologico del Molise (e ora dell'Umbria, con l'interim delle Marche!), Mario Pagano, è stato rinviato a giudizio in concorso con l'amministratrice delegata della impresa dell'eolico contrastata da Famiglietti. Ebbene, Famiglietti ha formalmente diffidato la Funzione Pubblica dal confermare alla Direzione generale del Lazio l'architetto Federica Galloni: tra l'altro, perché la Galloni è appena stata rinviata a giudizio per non aver messo il vincolo a un mobile preziosissimo intorno al quale ruotava un torbido giro di milioni, avvocati intraprendenti e alti funzionari infedeli.
Famiglietti ricorda anche che la Galloni ha dovuto "denunciare un elevato ammanco al suo bilancio, dovuto, sembra, a un contabile infedele": una vicenda che "pone ovviamente dubbi e perplessità sul sistema e l'efficienza dei controlli interni della Direzione". Insomma, prima che qualcosa rischi di cambiare anche nel buco nero del ministero per i Beni culturali, ci si sta dando un gran daffare per mettere in sicurezza gli assetti strategici di un opaco blocco di potere che cerca di sopravvivere. Il primo compito di un nuovo ministro determinato a cambiare dovrà essere azzerare tutte le cariche centrali: sarebbe come aprire una finestra in una fumeria di oppio.
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