DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
MINZOLINI FESTEGGIATO DOPO IL VOTO CHE HA EVITATO LA SUA DECADENZA
DAGONOTA
Il mis-Fatto si è compiuto nell’aula di palazzo Madama con il mancato voto dell’aula per sancire il decadimento di Augusto Minzolini da senatore di Forza Italia. L’ex cronista parlamentare era stato condannato in via definitiva a una pena superiore ai due anni per - parola di Minzo - "non aver messo i nomi degli ospiti dei pranzi che ho pagato con la carta di credito della Rai" quando dirigeva, su indicazione di Silvio Berlusconi, il Tg1 di mamma Rai.
Una punizione sproporzionata a giudizio dei suoi stessi accusatori politici, ma ribadita dalla Cassazione. A Minzolini, l’ex parlamentare Pd Giannicola Sinisi - uno dei giudici togati tornato a esercitare in magistratura e sospettato di parzialità -, non aveva concesso neppure le attenuanti generiche all’imputato che aveva restituito il maltolto (60 mila euro) e assolto in sede civile. Di qui il sospetto di una possibile vendetta dell’avversario politico. Tant’è.
Il taroccamento dei rimborsi, come ha ricordato Giampiero Mughini nella lettera a Dagospia nel tentativo di mettere a fuoco il reato (usuale&banale) che ha portato Minzo sul banco degli imputati, è molto diffusa nell’azienda di viale Mazzini e nelle redazioni dei giornali. Per non parlare delle markette firmate che hanno invaso, impunemente, il video e la carta stampata. Ma questa è un’altra storia di malcostume.
In base alla legge Severino (sciaguratamente voluta pure dall’ex Cavaliere per i suoi effetti comunque perversi sulle istituzioni), il senatore di Forza Italia non poteva più occupare lo scranno a palazzo Madama. Tant’è che prima del voto dell’aula, lo stesso Minzo aveva annunciato di lasciare il seggio a prescindere dal suo esito. Senza dimenticare che la legge Severino prevede che la Camera di appartenenza del decaduto “giudica” e non “applica” la norma guardando ai singoli casi.
Il caso Minzolini sta provocando un mare di polemiche (giuste nel merito), ma esercitate con un linguaggio francamente sproporzionato rispetto alla memoria di un Paese che ha dovuto far fronte a ben altri “atti eversivi” o “golpe striscianti” dal “Piano Solo” del gen. De Lorenzo agli anni di Piombo insurrezionali con l’uccisione del leader della Dc, Aldo Moro.
E anche il voto referendario del 4 dicembre 2016 per (stra)battere l’idea renziana&gelliana di fare strame della nostra Costituzione sta lì a ricordarci che le grida di possibili rivolgimenti sociali a causa dell’assoluzione di Minzolini al Senato non hanno alcun riscontro con la realtà.
luigi di maio foto ilaria magliocchetti lombi
Finora l’ordine pubblico non ne ha risentito. E non ci risulta che il ministero dell’Interno abbia convocato il Comitato della sicurezza per far fronte a un’eventuale emergenza di piazza dopo il fattaccio di Palazzo Madama.
Per Marco Travaglio, direttore del Fatto, quello consumatosi al Senato - in linea con il deputato pentastellato Luigi Di Maio: “Ora non vi lamentate se i cittadini manifestano in maniera violenta” -, rappresenta invece un pericoloso incitamento ai malumori rabbiosi della gente.
Sullo stesso quotidiano, Barbara Spinelli, insiste sui rischi di “una rivolta popolare”. Mentre Peter Gomez ripescando l’Orwell della “Fattoria degli animali” dà in pratica del “maiale” ai diciannove senatori del Pd che hanno votato No alle dimissioni di Minzolini.
Cioè, per dirla con lo scrittore Henry Miller, Ichino, Tononi, Mucchetti e la compagnia dei senatori ”voltagabbana” non se la sono sentita di premere il dito del grilletto del loro fucile senza prima fare i conti con la coscienza che abita anche in ogni implacabile accusatore.
E, va ricordato inoltre, che soltanto l’Osservatore Romano ha stigmatizzato le dichiarazioni “sorprendenti” dell’on. Di Maio con l’invito a ricondurre la polemica entro i giusti binari. A volte, osservava Stanislaw Jerzy Lec, “dicono di più su un’epoca le parole che non si usano più che le parole che si abusano”.
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