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Ugo Magri per "la Stampa"
Una strana tentazione serpeggia tra i deputati del Pdl, alla vigilia del voto su Milanese: «Per il bene di Silvio dovremmo dire sì all'arresto...». Proprio così, per amore di Berlusconi. E non c'entra nulla la guerra del premier contro Tremonti, nessuno pensa di fare godere il primo mandando in galera colui che fu braccio destro del secondo. Anzi, Berlusconi ne sarebbe spaventato, oltre che inorridito, in quanto suonerebbe sinistro pure per lui. Vorrebbe dire che nel segreto dell'urna può accadere di tutto, stavolta il via libera all'arresto di Milanese e domani, chissà , il disco verde a qualche iniziativa dei pm nei confronti suoi. Una grande crepa si aprirebbe nel bunker difensivo del Cavaliere.
Eppure... Quei «peones» che confidano l'intenzione di votare domani l'arresto di Milanese, battono su concetti come «lealtà », «affetto», «riconoscenza». Spiega uno sommessamente: «E' proprio quando vuoi dare un senso concreto alla parola amicizia che devi prendere decisioni drastiche, magari sgradite». In questo caso l'amico Berlusconi va «avvisato» per salvarlo quantomeno a metà . Bisogna fargli provare il brivido del baratro perché lui vada nella direzione giusta e non si incaponisca lungo quella sbagliata.
C'è pieno, nel centro-destra, di gente che non ne può più di tirare avanti senza una meta. Di personaggi i quali speravano nella transizione verso il «dopo», evviva Alfano se sarà lui il futuro (ma anche un altro, purché ce ne sia uno), e disposti nel frattempo a difendere Berlusconi. Salvo scoprire adesso di avere preso un abbaglio, che non c'è alcuna transizione in atto perché il Cavaliere fa un passo indietro e due avanti, fa balenare il ritiro e poi manda proprio Alfano a dire che nel 2013 candidato premier sarà sempre lui, a 76 anni suonati.
Sussurra uno dei capibastone Pdl: «Se tu approfitti troppo dei sentimenti, alla fine il rapporto si strappa. Bisogna mandargli un segnale». Qualcuno può pensare che pure le 5 sconfitte del governo sulla legge per il verde pubblico ieri alla Camera fossero un messaggio al premier, «se non indichi un percorso noi ti molliamo». Lo stesso Napolitano pare volesse capire meglio dai due capigruppo Pdl. Cicchitto e Gasparri gli hanno garantito che, perlomeno ieri, s'è trattato di semplice sciatteria, molti deputati della maggioranza stazionavano alla buvette pensando che in Aula tutto fosse sotto controllo, di qui le bocciature a raffica.
Insomma un equivoco. Invece domani, su Milanese, saranno tutti avvertiti. Nessuno si tratterrà al bar o lungo i Passi Perduti. E, stando agli umori, contro il deputato Pdl rischiano di sommarsi faide regionali (è stato eletto in Campania), risentimenti personali (favori negati), vendette trasversali (per punire Tremonti), calcoli correntizi (tra i seguaci di Maroni nella Lega) oltre si capisce al tentativo di aiutare Silvio suo malgrado, di obbligarlo a scendere dal trono, a trattare tempi e modi dell'«exit strategy», a ricostruire un'alleanza col Terzo Polo.
Comunque vada domattina alla Camera, ostentano serenità a Palazzo Grazioli, «non per questo cadrà il governo». Fatte le debite proporzioni, il macigno della crisi finanziaria incombe sui destini del premier ben più del voto segreto su Milanese. Se la situazione è fuori controllo per via dello spread, di Standard&Poor's, delle intercettazioni, degli scandali, dei processi, non è che verrebbe rimessa sui binari salvando l'ex consigliere di Tremonti dalle grinfie dei pm: un motivo, questo sì, che può spingere molti berlusconiani critici a negare nonostante Silvio l'arresto.
Nello stesso tempo, se venti o trenta o quaranta deputati romperanno la disciplina della maggioranza, e senza farsi vedere dal vicino di scranno pigeranno il bottone proibito, allora apparirà chiaro che l'area del maldipancia non è un'invenzione, comincia ad emergere, vuole farsi valere con Berlusconi o addirittura senza di lui (nel caso che vi fosse un'alternativa praticabile di qui al 2013).
Sarà un caso che proprio ieri Bersani si sia appellato «agli uomini di buona volontà » sull'altra sponda? E che Pier Furby Casini abbia esortato «i volenterosi della maggioranza a non difendere l'indifendibile»? Più che una coincidenza, sembra un segnale convenuto. O adesso, o mai più.
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