DAGOREPORT – CHI È STATO A FAR TRAPELARE LA NOTIZIA DELLE DIMISSIONI DI ELISABETTA BELLONI? LE…
1 - LA VITA DI UN RAGAZZO: IL PREZZO DA PAGARE PER AVER ABBANDONATO LE CITTÀ
Tomaso Montanari per il “Fatto quotidiano”
Dopo cinque giorni di agonia, ieri Salvatore Giordano è morto: a quattordici anni. Sabato era stato colpito da alcuni calcinacci staccatisi dal soffitto della Galleria Umberto I, nel cuore di Napoli. Perché è successo? Di fronte a eventi terribili come questo, ci si è sempre interrogati. Gesù, nel Vangelo di Luca, sfida le superstizioni dei benpensanti del suo tempo: “Quei diciotto sopra i quali rovinò la torre di Siloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico”.
Oggi, invece, ci chiediamo: si poteva evitare? È davvero una fatalità? O è colpa di qualcuno? Non è possibile non vedere il nesso tra la tragica morte di Salvatore Giordano e l’abbandono di ogni manutenzione delle nostre città. Il centro storico di Napoli si va lentamente disfacendo, nell’indifferenza generale: ma il problema non è solo di Napoli. Il 4 gennaio 2012, alle cinque di pomeriggio, a Firenze si rischia una strage: dalla Colonna dell’Abbondanza, nell’affollatissima Piazza della Repubblica, si stacca un frammento lapideo di ottanta chili, che precipita al suolo, miracolosamente senza ammazzare nessuno.
Sempre a Firenze, pochi giorni fa quel miracolo non si è ripetuto: un ramo staccatosi da un albero nel Parco delle Cascine ha ucciso una donna e la sua nipotina. “Alla manutenzione, l’Italia preferisce l’inaugurazione”. Lo scriveva Leo Longanesi nel 1955, e oggi è ancora più sistematicamente vero.
La morbosa politica “culturale” dei Grandi Eventi rende praticamente inimmaginabile che un ministro o un sindaco trovino conveniente annunciare una campagna di manutenzione ordinaria a tappeto: troppo poco, troppo grigio, troppo umilmente anonimo. Ma il problema è ancora più profondo, e riguarda la mentalità indotta dal consumismo di massa nella sua fase estrema e (chissà) finale: è l’idea stessa della conservazione, della cura quotidiana degli oggetti ad essere uscita dal nostro orizzonte mentale. Se questo è vero per il nostro stesso corpo, lo è ancora di più per il corpo delle nostre città.
Non è difficile oggi capire l’ardimento visionario con cui nacque, per esempio, Venezia: difficile è capire il lavoro quotidiano della Repubblica Serenissima, che incessantemente ha curato la Laguna ogni giorno di ogni mese di ogni anno di ogni secolo. Eppure, senza quel lavoro quotidiano non avremmo Venezia.
Oggi, quando va bene, la manutenzione si identifica con l’intervento eccezionale (vedi il Mose): meglio se spettacolare, e meglio ancora se costosissimo. Nulla potrà ridare Salvatore ai suoi cari, ma noi questa lezione dobbiamo impararla: prima che non solo Napoli, ma tutte le nostre città storiche ci cadano, letteralmente, sulla testa.
2 - IL RAGAZZO UCCISO DALLO STATO FUORILEGGE (CHE VESSA NOI CON GLI ISPETTORI)
Carlo Lottieri per “il Giornale”
Qualche anno fa fece discutere la morte di un ragazzo, Vito Scafidi, ucciso a Rivoli dal cedimento del soffitto dell'aula del liceo. La scorsa estate una donna morì a causa del crollo di un albero, che si abbatté sulla sua autovettura. Ma l'elenco di analoghe tragedie sarebbe troppo lungo.?Un dato è chiaro: l'apparato statale è esigente fino all'inverosimile nei riguardi dei privati, che vengono vessati da norme che - dalla famigerata 626 del 1994 in poi - quasi impediscono ogni genere di iniziativa, mentre è del tutto incapace di gestire in maniera responsabile ciò che è sotto il suo controllo.
È di queste ore lo sfacelo del fiume Seveso, che è esondato a Milano causando danni di varia natura, e tale disastro è da imputarsi ad anni di incurie da parte delle amministrazioni pubbliche di ogni colore.?Tutto ciò è grave, dato che uno dei pilastri dei nostri sistemi politici - che si parli di rule of law, come nel mondo anglosassone, oppure di Stato di diritto, come da noi, in Francia o in Germania - è che tutti devono sottostare alle medesime regole. Non esiste insomma un sistema legale per i governanti e uno per i governati, ma l'intera società dovrebbe essere vincolata al rispetto delle stesse norme.
La cronaca ci dice che, in realtà, questo è però ben lungi dall'essere vero.?Lo Stato è un pessimo amministratore delle cose che possiede: è noto. Ma per di più moltiplica leggi che noi dobbiamo rispettare e che esso costantemente ignora.?Il danno è duplice. Come proprietario, lo Stato non è in condizione di agire come dovrebbe, dal momento che nessuno (politico o burocrate) è davvero motivato a esercitare quel controllo e sviluppare quell'attenzione che è propria dei veri titolari: dei proprietari.
venezia progetto mose cantieri x
Come regolatore, inoltre, con la sua azione esso finisce per deresponsabilizzare imprese e famiglie (che più alla sicurezza reale devono mirare, a questo punto, all'adempimento delle formalità di legge) e per bloccare le iniziative di imprese e famiglie. E quando una società non cresce perché si trova intralciata da ogni sorta di regolamento, è fatale che anche il livello della sicurezza finisca per scadere.?Qualcuno si è chiesto, ed è nato pure un libro, cosa sarebbe diventato Steve Jobs se fosse nato in Italia.
La risposta è semplice: con questo Stato e questa burocrazia non avrebbe potuto costruire nulla e si sarebbe perso nei meandri di imposizioni e divieti. Perché lo stesso Stato che è fallimentare nel tenere in ordine fiumi, gallerie d'epoca, edifici scolastici e ogni altra realtà sotto il suo controllo, poi ci intralcia in ogni modo. Sarebbe bene che facesse un passo indietro; o anche di più.
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