RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Alessandro Barbera per “la Stampa”
«Sull'energia i problemi sono tanti» e «siamo divisi». Quando Mario Draghi ammette il fianco scoperto dell'Unione verso Vladimir Putin, a Palazzo Madama è ormai sera. Il premier sta replicando ai senatori sulle comunicazioni che precedono il Consiglio europeo di oggi. Poche ore prima lo Zar delle Russie ha annunciato che venderà gas solo in cambio di rubli. Draghi, come tutti i colleghi europei, è letteralmente spiazzato. Il suo consigliere economico Francesco Giavazzi - di norma silenziosissimo - da Milano fa un commento senza sfumature: «Non dovremmo pagare in rubli, perché andrebbe contro le sanzioni».
mario draghi ursula von der leyen
Giavazzi parla a titolo personale, e infatti da Palazzo Chigi non filtra un giudizio altrettanto netto. «La questine è delicata, ne dobbiamo discutere con i partner», la risposta di una fonte. Una cosa è certa: il diktat di Putin sottolinea la sua forza contrattuale e la debolezza politica dell'Unione. Pagare il corrispondente di un miliardo di euro al giorno in rubli sarebbe un formidabile sostegno al cambio della moneta russa, fin qui abbattuto dalle conseguenze delle sanzioni. Se Putin voleva mettere l'Occidente in difficoltà alla vigilia del più importante appuntamento diplomatico dall'inizio della guerra ci è riuscito perfettamente.
Questa mattina Draghi sarà come tutti al quartier generale della Nato per la riunione dell'Alleanza atlantica e del G7, e subito dopo sarà al Consiglio. Uno dei primi argomenti dovrà essere necessariamente questo. Durante gli interventi - prima alla Camera e poi al Senato - il premier usa toni fermi verso Mosca, senza dare alcun peso ai mal di pancia di leghisti e Cinque Stelle sull'aumento delle spese militari.
Nessuna scusa per giustificare l'invasione, nessun cedimento all'«orrore» di una guerra che non è scontro di civiltà, semmai un conflitto voluto da un uomo solo al comando e contro il volere del suo stesso popolo. Quello di Draghi è quasi un invito alla rivolta: «Molti cittadini russi si sono schierati contro, mettendo a rischio la propria incolumità. A loro va l'amicizia e la solidarietà di tutto il governo e la mia personale».
Senza sfumature è anche la risposta ai pacifisti e ai néné che chiedono di riflettere sull'opportunità di inviare armi a Kiev: «Dovremmo lasciare che gli ucraini perdano il loro Paese e accettino la schiavitù. È un terreno scivoloso che ci porta a giustificare tutti gli autocrati, tutti coloro che hanno aggredito Paesi inermi, a cominciare da Hitler e Mussolini».
Dunque sì alle armi, sì all'ingresso dell'Ucraina nell'Unione, braccia aperte e sostegno ai milioni di profughi. Il destino della sporca guerra di Putin dipenderà molto dall'atteggiamento dell'ultimo potente - ma sempre più riluttante - alleato dello Zar, la Cina. Joe Biden ai leader europei sentiti lunedì ha chiesto di aiutarlo nella deterrenza diplomatica.
Nel discorso in Parlamento Draghi dosa le parole, il senso è quello: dice di ritenere «fondamentale» il mantenimento di «spazi di dialogo» con Pechino, spera che «il governo si astenga da un supporto a Mosca» e «sostenga lo sforzo di pace». Al netto delle parole di circostanza, Draghi non ha alcuna fiducia nel fatto che la pace arriverà in fretta. Per questo occorre attrezzarsi ad affrontare l'ennesima crisi. Se un lato positivo c'è, è che mai come oggi la guerra dimostra che «da soli non possiamo farcela». Occorre un'Europa sempre più forte e unita.
Oggi sul tavolo dei Ventisette ci sono novità fino a poco tempo fa impensabili: l'acquisto e lo stoccaggio comune di gas anche da produttori diversi dalla Russia, un tetto al prezzo, un meccanismo per attenuare i «colossali guadagni» di chi produce elettricità grazie ad acqua e vento e nonostante questo si avvantaggia delle oscillazioni dei combustibili fossili.
Draghi ammette le divisioni: da un lato «i Paesi del Nord e le sue società petrolifere», dall'altra il Sud del continente e i baltici. Sarà una due giorni lunga, in cui l'Unione è di nuovo alla prova. C'è da parlare dei i tre miliardi promessi a chi è più colpito dall'ondata di profughi - in particolare la Polonia - e delle sanzioni su gas e petrolio russo. «Se possiamo fare di più? Certo che possiamo». La risposta al diktat dello Zar sui rubli metterà alla prova la previsione di Draghi.
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