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SI LAVORA E SI FATICA, PER IL PAPA E PER MUJICA - L'EX PRESIDENTE-CONTADINO DELL'URUGUAY A ROMA PER INCONTRARE BERGOGLIO E PRESENTARE IL SUO LIBRO CON GABANELLI E SAVIANO: "IL PAPA MI HA CHIESTO COME STESSI. GLI HO RISPOSTO 'SOY VIVO'"

 

Da www.rainews.it

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“Non ci sono uomini insostituibili, solo cause insostituibili”. Jose ‘Pepe’ Mujica, l’ex presidente-campesino dell’Uruguay, è arrivato a Roma per presentare il suo libro ("La felicità al potere") e per incontrare Papa Francesco. Un incontro, quello tra l'ex presidente 'povero' dell'Uruguay e l'argentino Bergoglio, molto cordiale e condito da pacche sulle spalle e dalla solita schiettezza di Mujica, che alla domande del Pontefice su come stesse (Mujica ha da poco compiuto 80 anni), ha risposto: "Soy vivo".

 

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Dopo l'incontro con Papa Francesco, la presentazione del libro in un hotel non lontano dal Vaticano. Presentazione a cui hanno preso parte Roberto Saviano e Milena Gabanelli. Con loro Mujica ha affrontato il tema immigrazione, sottolineando come questa sia una soluzione, e non un problema. "Quelli che vogliono attraversare il Mediterraneo – ha detto il presidente-campesino - non sono poveri d'Africa, ma dell'umanità. Non è un problema italiano, ma del mondo!". E poi il tema marijuana, che sotto la sua presidenza in Uruguay è stata legalizzata, o meglio statalizzata, nel senso che è ora lo stato a produrla e regolarne la vendita.

 

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"Non diciamo che la marijuana è buona - ha spiegato Mujica -, come non lo sono l'alcol e il tabacco. In Uruguay ci sono circa 150mila consumatori - ha aggiunto -, il mercato già esiste, e il narcotraffico è peggio della marijuana". Tesi sposata da Saviano che ha sottolineato come, dopo la svolta legale, l'Uruguay sia stato abbandonato dai cartelli messicani che lì gestivano il narcotraffico. A dimostrazione, ha spiegato Saviano, che questa strategia ha funzionato.

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Mujica si è poi lasciato andare ai ricordi più personali, parlando degli anni, 14, passati in carcere come prigioniero politico. Anni durissimi, passati per lo più in isolamento e, come da lui stesso sottolineato, "senza libri". Anni in cui il governo lo considerva, insieme ad un pugno di altri prigionieri politici, un ostaggio. Ostaggio nel senso che se i suoi compagni tupamaros avessero fatto attacchi al potere, lui e gli altri come lui sarebbero stati immediatamente fucilati. "Sono stato imprigionato 14 anni, 8/9 senza libri. Eppure questi anni, i più duri, sono stati quelli che più mi hanno insegnato".

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