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Francesco Battistini per www.corriere.it
Nel Mossad di oggi, dove gli agenti si cercano sul sito web come se si trattasse d’offrire un lavoro normale, l’immagine di Mike Harari era diventata un mito seppiato dal tempo. «Non sapremo mai la maggior parte delle cose che ha fatto per noi» nei suoi settant’anni da spia, ha detto il ministro della Difesa, Moshe Yaalon, indicandolo a esempio. «Ho compiuto soltanto il mio dovere», ha sempre spiegato lui: «Non sono mai stato un killer. Quel che ho fatto, è sempre stato per difendere Israele».
A 87 anni, Mike Harari è morto domenica nella sua casa di Afeka, mare a Nord di Tel Aviv, dove teneva ancora esposta in bella mostra la pistola di tante missioni. Un super-agente che Steven Spielberg ha reso famoso in tutto il mondo nel 2005, quando ha girato il film «Munich» e raccontato una delle più impressionanti «vendette» mai ordite da un servizio segreto: l’operazione Ira di Dio, nella quale gl’israeliani andarono a eliminare ai quattro angoli del mondo, uno per uno, gli undici palestinesi responsabili della strage alle Olimpiadi di Monaco ’72. «Moshe Ivgy, l’attore che mi ha interpretato, è stato bravo», si limitò a commentare Mike.
Cominciò a correre presto. A sedici anni, Harari era già un portaordini dell’Haganah, l’organizzazione paramilitare ebraica che nella Palestina del mandato britannico combatteva gl’inglesi e gli arabi. E quando lo Stato d’Israele non era ancora nato, già organizzava reti coperte di spionaggio a Roma, nell’Est Europa, in Africa. Una volta, raccontò, si salvò per un nulla da un tentativo d’avvelenamento del Kgb.
Stupì tutti, Mossad compreso, con l’operazione «Fulmine» e il celebre blitz di Entebbe del 1976: fingendosi un affarista italiano, diede le informazioni necessarie ai corpi speciali israeliani che erano penetrati nell’aeroporto ugandese, facendo liberare quasi tutti gli ostaggi del volo Air France dirottato da un commando palestinese (nelle sparatorie, morì il fratello dell’attuale premier israeliano Netanyahu).
mike harari a sinistra con yitzhak hofi
Settembre Nero e l’Olp di Arafat sono stati i suoi obbiettivi. Non sempre centrati: nell’operazione «Lillehammer» del 1972, in Norvegia, gli capitò d’ammazzare per errore un cameriere marocchino scambiandolo per il super-ricercato palestinese Ali Hassan Salameh (che sette anni più tardi sarebbe saltato su una bomba del Mossad, a Beirut). Dopo quell’incidente, Harari presentò una lettera di dimissioni, ma Golda Meir la stracciò.
Anche a fine carriera, invece della pensione, l’uomo di Entebbe e di Munich si trovò un’altra, chiacchierata attività: amico personale del dittatore panamense Manuel Noriega, «faccia d’ananas», instaurò rapporti d’affari fra lo Stato dello Stretto e Israele, creando problemi all’amministrazione Usa che finì per condannare Noriega per traffico di droga. La divisione Cesarea, che la superspia Mike fondò e diresse fino al 1980, esiste e opera. Ed è ancora oggi quella incaricata delle missioni specialissime.
Degli assassinii mirati. Di colpire senza troppo rispetto delle regole. «Voglio dai miei uomini concentrazione assoluta e dedico a loro tutta la mia concentrazione», è sempre stata la regola di Harari: «Una volta, mi accorsi che un mio agente era così impegnato da dimenticarsi del suo anniversario di matrimonio. Lo lasciai lavorare. E ci pensai io: mandando un regalo e un mazzo di fiori alla moglie, a suo nome naturalmente. La signora non ha mai saputo».
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