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DAGOREPORT - GIORGIA MELONI SOGNA IL FILOTTO ELETTORALE PORTANDO IL PAESE A ELEZIONI ANTICIPATE?…
LETTA NON MOLLA: HA SCELTO I NUOVI MINISTRI D'ACCORDO CON RE GIORGIO E NON CON RENZI
Francesco Bei per âLa Repubblica'
«Farò io il rimpasto, poi mi presenterò con un nuovo governo e un nuovo programma. Vedremo allora chi ci starà , se qualcuno mi negherà la fiducia». La linea della resistenza Enrico Letta l'ha tracciata due giorni fa, quando ha avuto la certezza che Renzi non gli avrebbe fatto sconti.
Era previsto infatti che i due s'incontrassero mercoledì, per cercare di discutere riservatamente come evitare «corride» alla Direzione. Tutto era pronto, salvo il fatto che a un certo punto il telefonino di Renzi ha smesso di rispondere e il premier ha scoperto (con disappunto) che il suo interlocutore era già in treno diretto a Firenze. «Non gli darò alcun appiglio per attaccarmi», ha promesso ai suoi Letta. E così è stato.
Un discorso dai toni melliflui, levigato come una palla da biliardo, infarcito di «Matteo», «gioco di squadra», «disponibilità totale», «comunità », «noi». Anche il linguaggio del corpo esprimeva apertura totale, disponibilità senza condizioni: ventitre volte Letta ha girato il capo verso sinistra, guardando direttamente il segretario che, nel frattempo, restava chino sugli appunti o sul display del telefonino.
Parole come carezze. Tanto che Pippo Civati, uscendo dal Nazareno, è sbottato: «Da Letta c'è stato un intervento di bassissimo profilo, quasi dei saluti al segretario». Civati si sbagliava. Non erano saluti ma avvertimenti. Lanciati in un raffinatissimo codice democristiano.
«Se vuole prendere il mio posto - ragionava ieri sera il premier rientrato a palazzo Chigi - dovrà andare da Napolitano e convincerlo che un altro governo offre maggiore stabilità ». Su questo fronte il premier infatti sa bene di essere blindato. Il Capo dello Stato ha fatto sapere a vari interlocutori di non apprezzare affatto l'idea di una "staffetta" interna al Pd per portare Renzi a palazzo Chigi e tanto meno l'ipotesi di andare a elezioni anticipate facendo saltare il percorso delle riforme. Anche di questo il premier si fa forte in queste ore.
Insomma, il discorso in Direzione, che a qualcuno è parso soporifero o eccessivamente compiacente, in realtà è stato studiato da Letta al preciso scopo di lasciare totalmente nelle mani del segretario la responsabilità di aprire una crisi di governo.
Poi il premier - che durante l'introduzione di Renzi si era seduto in terza fila come un peone qualsiasi, senza la giacca, senza pretese - al termine del suo intervento ha abbandonato la sala ed è tornato a palazzo Chigi. A lavorare sul decreto sulla terra dei fuochi. Costruendo l'immagine di una giornata come le altre, non quella in cui si è giocato a dadi con il suo destino politico.
Ora la strategia dei prossimi quindici giorni, in vista della delicata Direzione del 20 febbraio
- quella in cui Renzi ha promesso che darà «un giudizio su quello che sta facendo il governo, in una logica di franchezza» - Letta a grandi linee l'ha già stabilita. Basta inseguire Renzi, anzitutto.
Una volta incassata la legge elettorale (questo è l'unico "gentlemen's agreement" tra i due), il premier partirà con la sua agenda. Il lavoro su "Impegno 2014" ormai è finito, tutto è pronto per presentare il nuovo programma. Ma insieme a quello ecco la sorpresa: Letta andrà al Quirinale con una lista di nuovi ministri, scelti consultandosi con Napolitano e non con Renzi. Rimpasto e nuovi contenuti, per poi arrivare alla Direzione sfidando il segretario a una chiara assunzione di responsabilità . «Basta giocare di rimessa », è lo slogan che risuona a palazzo Chigi.
Letta ha poi in mano alcune carte coperte da lanciare sul tavolo al momento opportuno. Anzitutto i dati sul prodotto interno lordo, relativi all'ultimo trimestre 2013. Un più 0,3 per cento che ufficialmente porterà il paese fuori dalla recessione più lunga della storia. Inoltre il premier progetta qualche uscita di peso «sul territorio », come dicono da palazzo Chigi. Eventi come inaugurazioni di opere o visite ai cantieri, per dare l'immagine di un governo che esiste. Anche in Italia e non solo negli Emirati.
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