DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
1 - ROTONDI, L'ETERNO DC «MI DISSERO: È FINITA, VAI A VENDERE CRAVATTE INVECE SONO ANCORA QUI»
Giuseppe Alberto Falci per il “Corriere della Sera”
giorgia meloni gianfranco rotondi foto di bacco (1)
Gianfranco Rotondi non ha perso un attimo, si trova già nel suo collegio. «Sono in riva al mare, a Pineto in Abruzzo, il luogo dove faccio la villeggiatura. Mio papà mi portò qui nel 1968. Eppoi è anche accaduto che nel 2018 l'Abruzzo sia diventato il mio collegio. Non so dunque dirle se ho portato il lavoro in vacanza o se ho allungato la vacanza per tutto l'anno.
D'altro canto, per noi Dc il rapporto con gli elettori è come una vacanza». Prima certezza: ancora oggi Rotondi si definisce un democristiano «ma che sta al passo coi tempi». Classe '60, avellinese, custode di diversi segreti della Balena Bianca, Rotondi si prepara all'ennesima campagna elettorale. «La prima nel 1990 - racconta - è stata la più bella. Regionali in Campania con preferenza unica, mi candido in contrapposizione a Ciriaco De Mita. Allora dire che De Mita era il re d'Italia significava togliere qualcosa alla dinastia dei Savoia. Ottengo 30.270 preferenze, un risultato pazzesco».
silvio berlusconi gianfranco rotondi
Un giro in Regione e poi il grande salto a Roma. «La seconda campagna elettorale mi ha dato grande soddisfazione. È il 1994, la Dc non c'è più, il Partito popolare si presenta in 468 collegi uninominali, ne perde 464 e ne vince 4. Uno dei quattro era il mio. Il giorno dell'insediamento mi presento a Montecitorio e in Transatlantico incontro Remo Gasperi. Il grande Remo mi tocca la cravatta e mi dice: «Hai buongusto, apri un negozio di cravatte perché per i diccì non c'è più spazio». Indovinò che la storia di Piazza del Gesù era finita, ma non riuscì a prevedere che io sono ancora qui».
raffaele fitto giorgia meloni gianfranco rotondi foto di bacco (2)
Secondo certezza: Rotondi sarà candidato nelle liste del centrodestra. Non è dato sapere se al nord, al centro, o al sud, ma lui ci sarà. «Ho perso solo nel 1996, sapevo che sarebbe finita così. La sinistra Dc scelse la riva sinistra, io con Rocco Buttiglione scelsi la riva destra. Feci una scelta etica». Salta un giro, insomma, Rotondi. «Mi sono dedicato a fare altre cose, ho diretto il giornale del partito e ho avuto il difficile compito di liquidare i conti della Dc. Essendone uscito vincitore e con le mani pulite, il professor Buttiglione insistette per farmi ritornare nelle istituzioni, e così divenni consigliere regionale ma a Milano».
Milano e la Lombardia rappresentano la seconda vita di Rotondi. «Nel 2001 ho vinto il collegio di Rho che era di sinistra. Posso dire una cosa, nelle istituzioni ho un curriculum più lombardo di Umberto Bossi. Sono stato consigliere regionale, deputato e senatore».
Eppure, anche uno come Rotondi non aveva prima d'ora affrontato una campagna elettorale nel pieno di Ferragosto. «È una campagna elettorale sbagliata perché disturba gli italiani in vacanza. Il codice non scritto nella Prima Repubblica non prevedeva le urne a settembre. Chi non ha fatto vacanza ce l'ha con la politica perché non ha potuto trascorrere nemmeno un giorno in villeggiatura. E chi ha fatto le vacanze è infuriato perché ha speso troppo denaro a causa del caro prezzo e dell'aumento dell'inflazione. Fare le elezioni in estate significa non avere rispetto del popolo».
giorgia meloni gianfranco rotondi foto di bacco (2)
Domanda: Rotondi è pronto ad affrontare la campagna elettorale? «Mi sto preparando con l'idea di poterla fare in tutto il Paese, perché è uno snodo storico. Dal voto uscirà il nuovo assetto politico». Giorgia Meloni premier? «Giorgia viene dalla politica come noi democristiani, perciò ci piace. Non si inchina ai magistrati ma rispetta la loro toga, non si inchina ai poteri forti ma rispetta la toga di chi spende i talenti per costruire ricchezza e sviluppo».
2 - GIANFRANCO ROTONDI«IL PD FARÀ ALLEANZA CON IL M5S PERDERÀ LA FACCIA, NON I COLLEGI»
Antonio Di Francesco per “La Verità”
GIANFRANCO ROTONDI CON CAMICIA MULTICOLOR
Onorevole Gianfranco Rotondi, presidente di Verde è popolare, tra i tanti nomi che circolano per il puzzle delle candidature l'unico che manca è il suo. Che succede?
«Finora, non sono stati associati dei nomi ai collegi, quindi tutte le voci che girano sono delle autocandidature».
Insomma, lei non molla?
«Non voglio fare il nobile di Spagna. Diciamo che, avendo una piccola storia politica alle spalle, non mi metto a perorare cause: le candidature sono la conseguenza di scelte politiche che si fanno insieme, e che si fanno all'ultimo minuto. Tutto quello che si scrive prima fa parte del colore. Sulle decisioni da prendere, applico l'insegnamento del democristiano Fiorentino Sullo: in politica non fare una cosa se non ti sia chiesta almeno due volte. Una volta me lo chiede il partito, Verde è popolare, una volta me lo chiede la coalizione: quindi è possibile che io mi candidi. Ma ricordiamoci che i cimiteri sono pieni di persone indispensabili».
carlo calenda a mezzora in piu 2
Nel centrodestra, l'accordo sui collegi è arrivato piuttosto in fretta, prima che le nuove liste centriste mescolassero un po' le carte. Quando ci sarà da mettere i temi sul tavolo, i problemi aumenteranno? Secondo Carlo Calenda vi «scannerete su tutto».
«Calenda cosa ne sa? Questa è una coalizione diversa da quella berlusconiana, ma ha una tradizione di governo comune che dura da quasi 30 anni. Oggi guida la maggior parte delle Regioni italiane e non mi sembra che ci siano esperienze fallimentari, tutt' altro. Calenda fa solamente propaganda elettorale».
BERLUSCONI SALVINI MELONI - MEME
Dopo la rottura con Enrico Letta, non la preoccupa la possibilità che Calenda possa attrarre il voto dei centristi?
«Calenda non è la mia preoccupazione, la sua seduzione sui moderati mi sembra modestissima. È una persona rispettabile, ma ha una biografia che non definirei esattamente moderata: è un eletto del Pd, che è uscito dal partito per farsi una passeggiata su tutti gli slogan liberali del centrodestra prima di ritornare al punto di partenza. Ora che ha sbattuto di nuovo la porta, farà un grande danno al centrodestra: non perché riuscirà ad attrarre i voti centristi, ma perché lascerà libero Letta di siglare l'accordo con i 5 stelle».
In tal caso la distanza tra i due poli si assottiglierebbe: per questo teme il ritorno di fiamma?
«I 5 stelle hanno dimostrato di essere duttili, talvolta persino spregiudicati. La bussola che li guida è la convenienza: fare l'accordo con il Pd significa recuperare i collegi del centro sud. Calenda ha capito il doppio gioco di Letta e si è sfilato. Il segretario del Pd perderà la faccia, però i voti clientelari dei 5 stelle al sud, sommati a quelli del Partito democratico, ci faranno perdere tutti i collegi di Campania, Puglia e, in parte, di altre regioni del Sud. I carissimi nemici si tenderanno la mano contro la Meloni e contro le destre, secondo il solito ritornello».
Matteo Renzi parla di terzo polo, lei pensa che sarà ancora una sfida a due?
«Io continuo a scommettere su una sfida tra Letta e Giorgia Meloni».
Dall'ipotesi del blocco navale all'idea di un commissario ad hoc per gestire gli sbarchi: nelle uscite dei leader del centrodestra il tema immigrazione resta prioritario. Eppure, c'è chi sostiene che questa volta non sarà fondamentale per vincere le elezioni.
«Non l'ho mai considerato un tema fondamentale. Sull'immigrazione, seguo la linea di papa Francesco: accoglienza e solidarietà, ma nessuno può ospitare più di quanto sia realmente in grado di fare. Il centrodestra non è l'orda dei cinici che vuole lasciare gli uomini in mare, ma la coalizione che vuole dare un futuro a chi entra regolarmente in Italia e bloccare gli sbarchi alla fonte per evitare i morti».
Matteo Salvini insiste su un punto: al ministero dell'Interno andrà un leghista, che sia lui o uno dei suoi fedelissimi.
«I vecchi cronisti iniziavano a scrivere il toto ministri una settimana dopo le elezioni. Oggi vi infliggono una missione impossibile: scrivere la lista dei ministri di un governo che non c'è e di una coalizione che non ha ancora vinto».
Palazzo Chigi smentisce le voci circa un ipotetico patto tra Mario Draghi e Giorgia Meloni per piazzare alcuni ministri tecnici in un eventuale governo del centrodestra. Il risiko delle poltrone promette scintille?
«La Meloni è stata l'unica opposizione nel tempo della solidarietà nazionale. Dobbiamo dirle grazie, altrimenti non saremmo stati un regime liberale. La sua è stata un'opposizione repubblicana, della quale Draghi si è più volte compiaciuto. Secondo me, il rapporto finisce lì: non vedo Draghi interessato a infilare ministri nei governi degli altri, né la Meloni alla ricerca di ministri graditi a Draghi».
In occasione della sua festa di compleanno, qualcuno ha notato un fitto colloquio tra due invitati di peso: Giorgia Meloni e Fabio Panetta, membro del board Bce e molto vicino a Draghi, per l'appunto.
«Sono venuti come amici personali a un evento privato. Hanno scambiato qualche conversazione, come avviene in questi casi. Panetta ha già un ruolo pubblico che giova al nostro Paese».
gianfranco rotondi francesco de luca giorgia meloni foto di bacco (2)
Secondo il direttore dell'Istituto Cattaneo di Bologna, Salvatore Vassallo, la possibilità che un futuro governo di centrodestra possa intervenire in autonomia sulla Costituzione per introdurre il presidenzialismo è «abbastanza inverosimile». Resterà uno dei «sogni da campagna elettorale» di cui parla Mario Draghi?
«Non è un libro dei sogni. Nel centrosinistra c'è Enrico Letta, che viene dalla sinistra cattolica, per la quale la Costituzione doveva essere immodificabile, ma c'è anche Calenda, che non mi sembra venire da quella scuola. E poi ci sono i 5 stelle, che alla Carta hanno già messo mano. Insomma, una proposta di presidenzialismo ben equilibrata può ricevere i voti sufficienti per la riforma costituzionale».
Le simulazioni che avete preparato in vista della divisione dei collegi uninominali restituiscono l'immagine di un'Italia interamente blu, cioè il colore della vostra coalizione: state peccando di un ottimismo eccessivo?
«Sono d'accordo. Diceva il democristiano Antonio Gava: "Le elezioni le vincono quelli che hanno paura di perderle"».
Per quale motivo appoggia così apertamente la possibilità che Giorgia Meloni diventi primo ministro?
«Io sono un democristiano della scuola antica: nei momenti difficili, si fanno le scelte difficili. Questo è un momento storico: abbiamo avuto la Democrazia cristiana, che per anni ha assicurato ai moderati un voto utile al Paese; abbiamo avuto l'esperienza di Silvio Berlusconi, che ha realizzato una coalizione sostituendo il pentapartito.
Con Forza Italia che non riesce più a federare, il carisma della Meloni dà una base di massa al popolo moderato, che altrimenti sarebbe smarrito. Da democristiano, mi chiedo: vale la pena farle la lotta per agitare la nostra bandierina? Forse, sarebbe meglio aiutarla a crescere ancora, assicurandole numeri e idee che possano metterla nelle condizioni di fare bene per questo Paese».
È pronta per governare?
«Una volta Rocco Buttiglione mi presentò Helmut Kohl, il cancelliere della riunificazione tedesca. Volevo fare bella figura con lui e allora gli chiesi: come si diventa Helmut Kohl?».
Quale fu la risposta?
«Mi disse: "All'inizio, nemmeno Helmut sapeva che sarebbe diventato Kohl". Non bisogna chiedersi se Giorgia Meloni sarà in grado di fare il premier, lei farà il premier. Berlusconi ci ha insegnato il voto utile, ci ha insegnato che la campagna elettorale è un programma e una coalizione, ma è anche un nome».
gianfranco rotondi foto di bacco (2)
Per questo gli ha chiesto di battezzare apertamente la candidatura della Meloni?
«Quando noi chiedevamo i voti per Berlusconi, lo facevamo con convinzione: erano gli anni delle sfide con Prodi, Rutelli o Veltroni. Adesso, il candidato percepito è la Meloni: è inutile attardarsi nella coltivazione dei cespugli, le dobbiamo piantare una foresta intorno. Viene da una cultura diversa dalla nostra, ma ha una cultura e quindi si può intestare la rappresentanza di culture diverse».
carlo calenda a mezzora in piu 7
Letta, Calenda, Renzi: tutti si pongono come argine a una sua eventuale vittoria. «Mostrano di non volere una Repubblica normale. Se c'è sempre un avversario da arginare, non si entrerà mai nella dinamica per cui una vittoria o una sconfitta sono frutto di un programma elettorale più o meno apprezzato. Da parte nostra non ci sono argini, ma solo supporto. Condivido il pensiero di Fedele Confalonieri: Berlusconi è a pochi centimetri da una vittoria storica. Battezza un suo ministro e lo porta a Palazzo Chigi, poi si affaccia al balcone come Di Maio e dice: "Avete visto, sono di nuovo qua"».
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