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RICONGIUNGIMENTI FAMILIARI: A NATALE C’E’ POSTO ANCHE PER FINI AD ATREJU – "LA STAMPA": “DIETRO L’OPERAZIONE DEL FACCIA A FACCIA CON RUTELLI C’E’ IL TENTATIVO DI RECUPERARE FINI SOPRATTUTTO COME UN TESTIMONE STORICO DEL MOMENTO IN CUI LA DESTRA SI È SDOGANATA IN CHIAVE BIPOLARE, OPERA CHE MELONI AMBISCE A COMPLETARE CON LEGGE ELETTORALE E PREMIERATO. I SIMBOLI SONO IMPORTANTI: MICA È STATO INVITATO IN UN PANEL SU FIUGGI, O SU EUROPA E TRUMP. RESTANO MOLTI NON DETTI SU CUI L’EX PRESIDENTE DELLA CAMERA SI E’ GIOCATO LA GHIRBA: LA DESTRA DI STAMPO EUROPEO (TENDENZA CHIRAC), CON PUNTE AVANZATE SUI DIRITTI, DAGLI IMMIGRATI ALLA FECONDAZIONE ASSISTITA, PRATICAMENTE L'OPPOSTO DI OGGI. PECCATO CHE NON SE NE PARLI”

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Alessandro De Angelis per “la Stampa” - Estratti

 

Qui c'è da raccontare una storia. Anzi, un ricongiungimento familiare. 

 

Qualche dettaglio in sequenza. Gianfranco Fini, ex leader di An, ex presidente della Camera, ex tante cose, alle 17 è già arrivato ad Atreju assieme alla sua segretaria storica Rita Marino, un'autorità ai tempi di An, sguardo sempre accudente. 

gianfranco fini atreju

 

(...)

 

Scena clou, sul palco, sotto gli occhi di una sorridente Arianna Meloni, natalizia anche lei in un elegante tailleur rosso: «Per me è un ritorno a casa», dice l'ex presidente della Camera che quella casa non la frequentava da 17 anni. Da quando, cioè, iniziò il conflitto con Silvio Berlusconi fino alla rottura del «Che fai, mi cacci», la bolla di espulsione recapitata da palazzo Grazioli, la lapidazione di tipo islamico sugli house organ del Cavaliere, le accuse di «tradimento», l'abbandono da parte dei colonnelli di An. E poi, da un lato la solitudine, dall'altro la damnatio memoriae. 

 

La frase e l'applauso chiudono quel capitolo e aprono quello della riconciliazione. Emotiva di sicuro, politica si vedrà. Applauso caldo, non di circostanza, di quelli che si tributano a un grande vecchio. Francesco Rutelli sembra un po' «l'io tra di voi» di Aznavour ma è uno che sa stare al mondo: «Sono venuto per un tributo a un fondatore, e ripercorrere il 93 è un pretesto per farlo tornare qua». Altro applauso. 

 

L'operazione è studiata, ed è comunque interessante. 

Lo è per "loro", gli eredi di quella storia che però si sono sempre sentiti più underdog che figli, incatenati a una memoria a tratti catacombale. 

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E – va detto – è anche un segnale di sicurezza come lo è il recupero di un rapporto con un "padre", dopo la sua uccisione (per dirla con Freud). È l'idea che non rappresenta più una minaccia che turba la crescita. A Natale c'è posto anche per lui. 

 

Lo recuperano soprattutto come un testimone storico del momento in cui la destra si è sdoganata in chiave bipolare, opera che Giorgia Meloni ambisce a completare con legge elettorale e premierato. I simboli sono importanti: mica è stato invitato in un panel su Fiuggi, parola che nessuno, dicasi nessuno, ha nominato. O su Europa e Trump, vabbè ci siamo capiti. 

 

L'operazione è interessante anche per lui, perché ritrova un mondo, prima ancora che una politica. Qui la frase da annotare è una: «L'errore è stato sciogliere An, perché era un movimento basato su una comunità. E il merito di Giorgia è stato quello di ricostruire questa comunità». È tutto fuorché un'autocritica su Berlusconi.

 

È, appunto, un filo di continuità sentimentale all'interno del quale restano molti non detti che riguardano un altro pezzo della storia, proprio quello su cui Fini si è giocato la ghirba: An, la destra di stampo europeo (tendenza Chirac), con punte avanzate sui diritti, dagli immigrati alla fecondazione assistita, praticamente l'opposto di oggi. Peccato che non se ne parli. 

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Però, ecco, nel turbine delle emozioni Fini non fa il capopopolo. Evita possibili spigoli da un lato, non accarezza il pelo della demagogia dall'altro, cosa che sarebbe stata non difficile in quel contesto. Anzi, dice, «non condivido tutto al 100 per cento». 

 

È sul palco, ma resta sostanzialmente un passo indietro rispetto ai nodi più divisivi, che possono mettere in imbarazzo Giorgia Meloni. Appassionato sull'Ucraina, dove sono in gioco «i valori dell'Occidente», smussa però molto, moltissimo su Trump, complice l'assenza di domande: sulla sua concezione della democrazia, dell'ordine mondiale e sulla sua visione dell'Europa come una banda di parassiti da lasciare al proprio destino. 

 

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E tuttavia, nel complesso, resta molto se stesso nella postura, poco divisiva, a tratti super partes. Nella sua idea di conflitto politico non alberga la cultura del nemico ma, sia pur nel rispetto delle diversità, la convergenza sulle grandi questioni nazionali e la capacità di parlare con un avversario senza comiziare. Rutelli poi è perfetto, perché, a tratti, più che un duello è un duetto: «Se mi riconosco nel centrosinistra di oggi? Passiamo alla domanda successiva a Fini…». Avete capito? Buon Natale. — 

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