DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Claudio Cerasa per "il Foglio"
La legge elettorale, e questo si sa. Il percorso delle riforme istituzionali, e questo è scontato. La storia del Quirinale, e questo si intuisce. Ma all’interno del patto del Nazareno – e di quello che prevede direttamente e indirettamente l’accordo sulle riforme da cui è maturato il governo Leopolda e sul quale hanno messo la loro firma Renzi, Berlusconi e di riflesso Napolitano – c’è un capitolo che riguarda la giustizia e sul quale il presidente del Consiglio, il capo di Forza Italia e il presidente della Repubblica hanno mostrato in separate sedi la propria profonda sintonia.
Il dossier è da ieri sul tavolo del vicepresidente del Csm Giovanni Legnini (eletto l’11 settembre al Consiglio superiore della magistratura con consenso record, 527 voti rispetto ai 490 previsti dal quorum, anche grazie a un accordo tra Renzi, Berlusconi e Napolitano) ed è relativo a una serie di nomine importanti che da qui alla fine del 2015 andranno a rivoluzionare la geografia degli uffici giudiziari del nostro paese.
Il numero di componenti degli uffici che per effetto della legge sulla Pa dovranno andare in pensione entro il prossimo anno si aggira attorno alle 400 unità e dietro questo dato si nascondono alcune posizioni di peso sulle quali il Csm ha cominciato a studiare alcune possibili soluzioni. Posizioni come il capo della procura di Palermo, il capo della procura di Milano, il procuratore generale di Roma, i vertici della Cassazione, delle Corti d’appello, della procura generale di Napoli, delle procure e dei massimi uffici giudiziari di Bari, Catania, Venezia e Torino.
Lo spirito del mandato con cui Legnini è stato eletto al Csm è quello di chi deve interpretare un indirizzo che arriva da Palazzo Chigi ed è uno spirito sintetizzabile in poche righe: imporre una discontinuità negli uffici che hanno mostrato spiccato orientamento politico e dimostrare che il criterio dell’appartenenza alle correnti non è, per quanto possibile, un requisito imprescindibile per guidare una procura. Le scelte dalle quali risulterà chiaro se, su questo fronte, la giustizia dell’èra Renzi cambierà verso sono quelle di Palermo e Milano. La storia è interessante e in entrambi i casi il modello su cui si punta è quello del Papa straniero.
A Palermo la successione di Messineo è una partita che si gioca tra Guido Lo Forte (caselliano), Sergio Lari (procuratore capo di Caltanissetta) e Francesco Lo Voi (magistratura indipendente) e la discontinuità con l’attuale gestione di matrice ingroiana dovrebbe essere garantita dall’affermazione di uno degli ultimi due candidati (Lari, grande critico dell’impostazione data dalla procura di Palermo alla trattativa stato mafia, al momento è il favorito ma la partita è aperta).
Ma da oggi l’altro tavolo importante sul quale il Csm dovrà mostrare un segno di discontinuità è quello legato alla procura di Milano (che nell’ultimo anno è stata al centro di uno scontro violento tra il procuratore capo, Edmondo Bruti Liberati, e il suo sostituto, Alfredo Robledo). Poche settimane fa è scaduto il mandato di Bruti Liberati e questo pomeriggio la prima e la settima commissione del Csm dovranno valutare se prorogare o no l’incarico fino al termine del 2015 (data in cui, per effetto del Decreto Madia, Bruti Liberati, che avrà 71 anni, dovrà andare comunque in pensione).
Ai vertici del Csm, nell’attesa che si decida il destino dell’attuale procuratore, sono arrivate due candidature di peso per la guida della procura più importante d’Italia. Il primo nome, considerato in continuità eccessiva con le ultime stagioni della procura di Milano, è quello di Francesco Greco, attuale procuratore aggiunto di Milano.
IL PM DI MILANO FRANCESCO GRECO AL CELLULARE
Il secondo nome, considerato il candidato più forte per segnare una discontinuità (parziale) con il mondo milanese, è sempre di Magistratura democratica, ma venendo da una città lontana da Milano, e in cui ha gestito bene una frattura tra anime della procura non così diversa da quella osservata a Milano, potrebbe risultare il profilo giusto per succedere a Bruti Liberati. Il nome in questione è quello di Giovanni Salvi, procuratore capo di Catania, fratello dell’ex ministro e senatore Ds Cesare Salvi, in lizza sia per un posto a Milano (nel caso in cui la casella fosse liberata nel giro di pochi mesi) sia per la procura generale di Roma.
Discontinuità e Papi stranieri. L’altra sfida dell’èra Renzi per cambiare verso alla giustizia passa anche da qui. Sulla prima sfida la partita non sta andando nella direzione promessa da Renzi (riforma della giustizia civile timida, riforma della giustizia penale che latita, magistrati che tengono il ministero della giustizia in ostaggio: citofonare per credere al capo di gabinetto di Andrea Orlando). Ma chissà che sulla partita dei rinnovi dei più importanti uffici giudiziari italiani i figli del Nazareno non riescano a combinare qualcosa in più.
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