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DAGOREPORT – QUANTO DURERA' LA STRATEGIA DEL SILENZIO DI GIORGIA MELONI? SI PRESENTERÀ IN AULA PER…
Timothy Garton Ash per “The Guardian”, ripubblicato da “la Repubblica” (Traduzione di Emilia Benghi)
Dov’è finito il messia? Quello che ha fatto ballare la gente in piazza scandendo “yes we can!” nella notte indimenticabile dell’elezione, proprio sei anni fa. Quello che era sulla bocca di tutti gli europei. Quello che ha promesso che l’umanità avrebbe ricordato il momento in cui «l’innalzamento degli oceani sarà più lento e il nostro pianeta inizierà a guarire».
Alla vigilia delle elezioni di medio termine, il 4 novembre, a sei anni dall’elezione di Barack Obama, i candidati democratici al Congresso non vogliono farsi vedere assieme al presidente. Elizabeth Drew, una veterana tra gli osservatori della politica Usa scrive: «Probabilmente non accade dai tempi di Nixon che tanti candidati siano così restii a presenziare alle apparizioni pubbliche del presidente del loro partito nei loro stati». I consensi sono scesi al 40%. In Europa non si parla quasi più di lui: da “Obama! Obama!”, si è passati a Nobama.
Cosa è successo? Forse questi minimi sono irrealistici quanto i massimi di allora?
NEL corso di un’estate passata negli USA ho chiesto a vari osservatori di dare un giudizio sulla presidenza Obama. Ovviamente può ancora succedere molto nei due anni e più che gli restano, ma Obama probabilmente ha fatto il grosso di ciò che verosimilmente si propone, è ormai ingrigito, disinteressato, tiene discorsi stanchi e dà sempre più l’idea di sognare di essere su un campo da golf.
È importante ricordare che nessun presidente dal 1945 in poi ha mai giocato una partita così difficile. Obama ha assunto l’incarico trovandosi ad affrontare la peggior crisi finanziaria dagli anni Trenta, il retaggio della disastrosa, evitabile, guerra in Iraq di George W. Bush, un sistema politico sballato e confuso che ruota attorno a un congresso a elezione manipolata, polarizzato e dominato dall’interesse economico, nonché un cambiamento epocale nell’equilibrio globale del potere.
hillary e bill clinton in iowa 2
Quest’anno la Cina supera gli Usa e si qualifica maggiore economia mondiale in base alla teoria della parità dei poteri d’acquisto. In un articolo scritto da Washington la mattina successiva all’elezione di Obama, con lo slogan yes we can ancora nelle orecchie, già mi chiedevo se sarebbe bastato quello spirito di speranza a superare tutti gli ostacoli.
Un ostacolo però non seppi predirlo con sufficiente anticipo. L’arrivo di un presidente nero alla Casa Bianca fu osannato perché finalmente cancellava la peggior macchia sulla più grande democrazia del mondo, ma in realtà gran parte dei pregiudizi razziali permangono. «È innegabile — è il lucido commento della Drew — che la razza del presidente ha un peso importante nelle critiche distruttive che gli vengono rivolte».
hillary clinton duecentomila dollari a comizio
Detto questo, qual è il giudizio provvisorio sulla presidenza Obama? La mia risposta è: moderatamente positivo in politica interna, molto scarso in politica estera. L’economia statunitense ha un andamento migliore di qualsiasi altra economia sviluppata. È cresciuta dell’8% circa rispetto al primo trimestre del 2008, mentre l’economia dell’eurozona è tuttora sotto il 2% nello stesso periodo. La disoccupazione è scesa sotto il 6%. Il deficit di bilancio federale per l’anno fiscale 2014 era sotto il 3% del Pil (il limite teorico dell’eurozona).
Possiamo discutere all’infinito su chi abbia il merito di questa performance — l’amministrazione, Ben Bernanke, lo shale gas, il dinamismo di un immenso mercato interno, lo spirito imprenditoriale innato negli americani, Iddio onnipotente — ma tutto questo è avvenuto sotto Obama.
Le limitazioni imposte al settore finanziario dallo statuto federale Dodd-Frank sono timide e incomplete ma il Cfpb (Consumer financial protection bureau) di nuova istituzione tutela in maniera significativa chi siede dalla parte sbagliata del tavolo nel rapporto con le banche. Obama ha fatto il possibile per iniziare a ridurre le emissioni di CO2, pur in presenza di un congresso dominato dalle lobby.
Inizialmente il sito dell’”Obamacare” è stato gestito disastrosamente e di questo il presidente è responsabile, ma, grazie al programma, nel complesso 10 milioni di persone hanno già avuto per la prima volta accesso al sistema di assicurazione sanitaria o al Medicaid. Due accademici di Princeton sostengono che nel suo primo mandato Obama ha stanziato in sordina per programmi contro la povertà risorse più ingenti rispetto agli altri presidenti democratici. Ha parlato meno dei poveri ma ha fatto di più per loro.
Non ha (per ora) attuato una riforma generale dell’immigrazione, ma in buona parte questa lacuna è imputabile ai politici repubblicani, più interessati ad essere rieletti nelle primarie ad alta concentrazione di Tea Party che a conquistare l’elettorato spagnolo, obiettivo più ampio del loro partito.
Sono rispettabili precedenti in politica interna, considerati i tempi difficili. In politica estera invece il presidente da cui il mondo si aspettava tanto ha combinato ben poco. Certo, non ha fatto idiozie come invadere l’Iraq. Ma si è fermato lì.
Lo statista lungimirante del discorso del Cairo nel 2009 non ha saputo cogliere l’opportunità della primavera araba, soprattutto in Egitto, dove più di un miliardo di dollari in aiuti davano agli Usa una reale influenza sui militari egiziani repressivi, ora di nuovo al potere. Obama ha stabilito la “linea rossa” sull’uso delle armi chimiche in Siria e permettendo poi che il presidente Bashir al-Assad la oltrepassasse impunemente. Assad ha concentrato il fuoco sull’opposizione siriana moderata, quella che Hillary Clinton aveva esortato Obama a sostenere con maggior vigore.
Così lo Stato Islamico ha preso maggiormente piede. Nel frattempo la debolezza di Obama nel trattare con il primo ministro iracheno, lo sciita Nouri al-Maliki — debolezza che l’ex ministro della difesa Leon Panetta critica nel memoriale di recente pubblicazione — ha portato alcuni sunniti insoddisfatti ad avvicinarsi allo Stato islamico.
E ora gli americani sono di nuovo impegnati militarmente in Iraq. Il titolare di un prematuro Nobel per la pace non ha (ancora) usato tutte le risorse disponibili per arrivare ad una soluzione a due stati per Israele e la Palestina, come fece Bill Clinton, anche se è consapevole che l’obiettivo è questo.
La sua reazione alla sfacciata aggressione di Putin in Ucraina è stata debole. In una apparizione in primavera ha detto che la Russia è solo una potenza regionale e che lo preoccupava di più l’eventualità che scoppiasse un ordigno nucleare a Manhattan. Lo scandalo della sorveglianza elettronica di massa ad opera della Nsa gli ha alienato alleati importantissimi, soprattutto i tedeschi e non ha neppure congedato il capo dell’intelligence, il generale James Clapper, che ha mentito al Congresso sulla questione.
La strategia del pivot to Asia è una buona idea ma né la Cina né gli alleati degli Usa nella regione sono finora entusiasti dei risultati. E poi c’è lo sviluppo. L’uomo andato al potere come Mr. Nord-Sud piuttosto che Est-Ovest, quanto agli aiuti allo sviluppo del sud globale ha fatto in realtà poco più di George Bush con la Millennium Challenge e altre iniziative. Dimenticavo, non ha chiuso Guantanamo. Devo proseguire?
Tutto questo porta ad un quesito interessante: gli elettori americani alle primarie democratiche hanno sbagliato l’ordine delle loro priorità storiche? Il primo afroamericano anteposto alla prima donna presidente.
Benché né la Clinton né Obama avessero in curriculum un incarico amministrativo di grande prestigio (ad esempio il governatorato di uno stato), Hillary aveva più esperienza e probabilmente, da presidente, sarebbe stata più decisa sotto molti aspetti. Aveva l’età giusta allora, mentre se vince nel 2016 avrà 69 anni.
Otto anni dopo, con una più lunga permanenza al senato, seguita da un periodo come segretario di stato o vice presidente, Obama sarebbe stato più pronto ad affrontare le sfide di un mondo pericoloso. La storia non si fa con i se, ma l’ipotesi è interessante.
@ fromTGA
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