DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Umberto Gentiloni per “la Repubblica”
«Il gran Mufti inizia il colloquio ringraziando il Führer per l'onore di averlo ricevuto e per l'opportunità di poter riferire della grande ammirazione che il mondo arabo prova nei confronti del Reich tedesco». Sono le prime parole di una conversazione tra Haj Amin al-Husseini e Adolf Hitler, a Berlino il 28 novembre 1941.
Un incontro significativo che prende in esame la possibilità di una dichiarazione pubblica del capo del nazismo «sulle ragioni e le opportunità che guidano la causa dei popoli arabi» e che offre una serie di conferme sulle convergenti politiche nei territori dell' impero ottomano passati dopo la prima guerra mondiale sotto il mandato della Gran Bretagna.
Nulla di sconvolgente intendiamoci. Si tratta di un'offerta di collaborazione e intesa per potersi giovare delle attenzioni di chi sembra in procinto di vincere la guerra: uno scambio di attenzioni e rassicurazioni. Il gran Mufti di Gerusalemme (1897-1974) è la figura più rappresentativa del mondo palestinese sunnita, in carica dal 1921 si era messo in evidenza per una serie di iniziative e sollevazioni in chiave anti-inglese: prima nei territori della Palestina mandataria e in un secondo momento in Iraq legandosi a movimenti e gruppi fautori della lotta contro la presenza inglese in medio oriente.
Sconfitto e ricercato si rifugiò nel 1941 in Germania iniziando un'opera di propaganda favorevole al nazismo e alle sue strategie e iniziando così a reclutare volontari, una sorta di legione araba, pronti a sostenere l'impegno militare della Germania nazista. Negli anni di guerra tesse relazioni con Ribbentrop e altri uomini di punta del regime. La sua appare come la posizione di un leader nazionalista arabo impegnato nelle strategie di lotta di un movimento di liberazione che vuol essere riconosciuto e difeso.
Due le chiavi prevalenti: una sollevazione anti-britannica che si salda con la possibilità di trovare interlocutori e sostenitori potenziali tra le forze dell' Asse (la Germania di Hitler e l'Italia di Mussolini). Queste premesse costitutive rafforzano la convinzione che ogni spinta di emigrazione ebraica verso la Palestina debba essere fermata e combattuta e che le ragioni dell' affer-mazione del popolo arabo (identitarie e nazionali) possano essere avvantaggiate da un esito anti-britannico del conflitto.
Il colloquio avviene alla fine del 1941, la Shoah è già in atto; l'uccisione di massa degli ebrei nei territori conquistati dopo l' attacco all' Unione Sovietica da parte delle Einsatzgruppen ha già numeri impressionanti. Nessuna sovrapposizione quindi di cronologie o responsabilità. La partita sugli assetti del medio oriente post bellico è molto più lunga e complicata. Il memorandum dell' incontro conferma vedute e intenzioni unite ai calcoli su vantaggi e convenienze: «Gli arabi sono gli amici naturali della Germania visto che condividiamo gli stessi nemici: inglesi, ebrei e comunisti».
E in conclusione chi trascrive annota: «Il Mufti fa riferimento a una lettera che gli è giunta dal governo di Berlino. Il contenuto è chiaro. La Germania non fa richieste su territori arabi in Medio Oriente mentre riconosce e apprezza le spinte d' indipendenza e libertà che animano le popolazioni arabe. Tale sostegno si accompagna alla convinzione di dover eliminare e combattere l' aspirazione nazionale ebraica a una casa comune».
Un confronto che richiama i significati della guerra, la composizione degli schieramenti, il peso di questioni antiche: la fine degli imperi e la disgregazione di realtà territoriali e forme di potere. Difficile immaginare che tutto questo avrebbe attraversato e incontrato il nostro 25 aprile.
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