RE GIORGIO CORAZZIERE - NEL DISCORSO PER IL 25 APRILE, NAPOLITANO INVOCA LA LIBERAZIONE DEI DUE MARÒ “INGIUSTAMENTE TRATTENUTI” E POI, DA CAPO DELLE FORZE ARMATE, FA L’APOLOGIA DEL MILITARISMO E DELLA SPESA PER LA DIFESA (GLI F35 NON SI TOCCANO)

Fabrizio d'Esposito per il "Fatto quotidiano"

Il Generalissimo Giorgio. Nel giorno della Liberazione e della Resistenza antifascista. Al Quirinale si celebra il sessantanovesimo anniversario del Venticinque Aprile. Il capo dello Stato ha preparato un discorso che, per quattro quinti, è molto bello, toccante. In sala ci sono i rappresentanti di alcuni comuni devastati dalla ferocia nazifascista nel 1944. Napolitano vuole mettere in evidenza la sofferenza immane dei civili in quel periodo.

Ricorda pure un eccidio dimenticato: "Saluto in primo luogo - perché meritano una riparazione per l'aver lasciato, tutti noi, troppo a lungo in ombra quella dolorosissima esperienza - i familiari dei 103 ufficiali del Decimo reggimento ‘Regina', che nell'isola greca di Kos nell'ottobre del 1943 furono sommariamente processati e barbaramente trucidati per non essersi piegati alle pretese germaniche". È presente anche un veterano di quel reggimento, che si commuove, come tutti.

Le sorprese arrivano alla fine, in coda a un discorso che cita parecchie volte i valori della Resistenza e del movimento partigiano. Re Giorgio si ricorda di essere comandante in capo delle forze armate e s'infila in un'apologia del militarismo senza se e senza ma. L'abbrivio lo conduce a un omaggio contraddittorio, che divide: "Desidero non far mancare una parola per come fanno onore all'Italia i nostri due Marò a lungo ingiustamente trattenuti lontano dalle loro famiglie e dalla loro Patria".

"Trattenuti", cioè, in India. Il Generale Giorgio procede, incurante di eventuali proteste diplomatiche di quel Paese. E incurante che quei due militari sono diventati il simbolo di una battaglia portata avanti dalla destra postfascista, non antifascista. Non a caso, uno dei due marò, Latorre, su Facebook, manda gli auguri ai fratelli del San Marco perché "oggi si celebrano più ricorrenze". Per il suo riferimento è come se il discorso di Napolitano andasse oltre quello noto di Violante sulla pacificazione. Qui c'è l'ex comunista che dal militarismo filosovietico del ‘56 (l'invasione di Budapest) passa a quello non patriottico ma nazionalista.

Subito dopo l'omaggio ai marò, il capo dello Stato si fa garante del "rinnovamento dello strumento militare" e avverte: "Potremo così soddisfare esigenze di rigore e di crescente produttività nella spesa per la Difesa, senza indulgere a decisioni sommarie che possono riflettere incomprensioni di fondo e perfino anacronistiche diffidenze verso lo strumento militare, vecchie e nuove pulsioni demagogiche antimilitariste".

Tra quest'ultime, tra le "nuove pulsioni demagogiche antimilitariste", va certamente annoverata Laura Boldrini, presidente della Camera, che nello stesso giorno è andata nella direzione opposta a quella di Napolitano: "È chiaro che, in una situazione di risorse collettive scarse o scarsissime a tutti è richiesto di indicare le priorità. E dunque anche l'impegno per gli armamenti non può essere considerato affatto irrilevante rispetto agli impegni che la nostra Repubblica pensa di poter mantenere con i suoi cittadini in materia di asili-nido, o di sostegni all'occupazione, o di assistenza agli anziani".

La Boldrini con gli asili-nido, Napolitano con gli F-35. Perché il messaggio in controluce del discorso di Napolitano è chiaro: bisogna mantenere i patti come ha detto Obama quando è venuto a Roma. Un avvertimento diretto soprattutto a quella parte del Pd che vuole rivedere gli accordi in Parlamento nella prima settimana di maggio. Repubblica presidenziale o parlamentare? Ci sono ancora dubbi?

 

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