DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
Federico Capurso per “la Stampa”
C'è chi sta al mare, chi sul balcone di casa, chi in treno e chi prepara il pranzo. Alla ventiduesima ora di assemblea in videocall, iniziata sabato mattina, andata avanti a singhiozzo per tutta la giornata di domenica e rinviata a questa mattina (per concludersi? Chissà), i parlamentari del Movimento 5 stelle sono evidentemente sfibrati.
Persino Giuseppe Conte, dopo essere apparso in collegamento, decide di spegnere telecamera e microfono. «Ma Giuseppe è ancora connesso?», si chiedono gli eletti nelle chat. Qualcuno lo definisce «un momento di confronto», ma è il solito sfogatoio amplificato dalle paure e dai veleni che ormai, quando sembra non ci sia più nulla da perdere, scorrono a fiumi negli interventi di deputati e senatori.
Ore di riunioni, di «usciamo» e di «restiamo» lanciati l'uno contro l'altro, per poi non arrivare ad alcuna decisione sulla permanenza o meno nel governo. L'ordine del leader, d'altronde, è di aspettare: «Decida Draghi». I vertici stanno pensando a un documento in cui ribadire la linea del Movimento «per evitare che vengano distorte le nostre posizioni». Una trasposizione, in sostanza, dell'intervento in video di Conte affidato sabato sera ai social, integrato magari da una sintesi di quel che emerge dall'assemblea congiunta.
L'obiettivo è renderlo pubblico prima di mercoledì, quando Mario Draghi parlerà alle Camera, ma è ancora un'ipotesi. Prima di prendere una decisione, tutti aspettano di capire quello che succederà in questi giorni, se arriveranno o meno dei segnali da palazzo Chigi.
L'assemblea congiunta, convocata ormai in modo permanente, alternata dalle riunioni ristrette del Consiglio nazionale, offre però uno specchio della spaccatura interna al partito. Serve a contarsi, a capire quanti sono con Conte e quanti invece potrebbero dire addio per rinnovare la fiducia al governo.
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Un contiano con il pallottoliere alla mano, a fine giornata, fa di conto: «46 parlamentari intervenuti finora sono sulla linea del leader, 19 sono per dare la fiducia a Draghi, 3 gli indecisi». Bilancio che aiuta a tenere la nave in fase di galleggiamento, ma che non può lasciare sereni. Se si confermasse il trend, potrebbero salutare il Movimento una trentina di eletti, ma alcuni si dicono certi che il numero degli addii sia più alto, gonfiato dai malumori silenziosi e dalla «caccia ai traditori» animata dai falchi M5S.
giulia grillo a un giorno da pecora
Il ministro Federico D'Incà interviene per provare a portare temi e ragionamenti concreti sul tavolo, espone i rischi per il Pnrr, quelli di andare al voto- «con questa legge elettorale sarebbe un disastro» - e chiede una «tregua» tra Conte e Draghi. Gli altri esponenti di governo, pur con tutte le sfumature del caso, la pensano allo stesso modo. Si chiede calma, prudenza. L'ex ministra Giulia Grillo ricorda che «fare opposizione è legittimo, ma non darà risposte a chi oggi si lamenta, per dare risposte si deve stare nel governo».
Le rispondono i contiani, ricordando le umiliazioni subite dal Movimento e la discussione prosegue animata ma serena fino a quando arriva il turno della senatrice Giulia Lupo. Un tempo vicina a Virginia Raggi, oggi ala dura, durissima dei falchi contiani: «Rispetto le idee di tutti, ognuno fa le sue scelte, ma ai tiratori scelti rimasti nel Movimento chiedo di lasciare adesso. Se lo specchio non può sputarvi, allora forse potrebbe iniziare a farlo qualcuno di noi». Occhi sgranati. Le truppe dei contiani d'assalto proseguono sulla stessa scia, lanciano «abbracci ai traditori», attaccano frontalmente chi ha espresso contrarietà. Maria Soave Alemanno, che ha annunciato che darà la fiducia al governo Draghi, viene messa all'angolo.
Leonardo Donno, Gilda Sportiello e Sebastiano Cubeddu sono i più agguerriti. «Sembra l'Inquisizione», «brutto clima», «chi è in dissenso viene additato come un pupazzo di Di Maio» si lamentano alcuni eletti nelle chat. Un atteggiamento che non fa altro che gonfiare le file degli scontenti e di chi è convinto che il partito ormai sia nelle mani dei contiani. «Padronale», come lo definisce proprio Di Maio. E sarà certo più compatto, di questo passo. «Fino a quando - dice con amarezza una deputata a La Stampa - sarà impossibile cacciare qualcuno, perché sarà rimasto solo Conte».
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