1. “IL CADAVERE SOLLECITA UN’AUTOPSIA”, VIEN VOGLIA DI DIRE NELL’ESAMINARE LO STATO DI SALUTE (POLITICO) E L’EGO (SUICIDA) DEL PREMIER USCENTE, MARIO MONTI. CON QUELLA SUA OTTUSA PRETESA DI RESTARE AGGRAPPATO ALLA SCRIVANIA (DELL’INSUCCESSO) 2. NEL GIRO DI APPENA UN ANNO, GRAZIE A RE GIORGIO, IL PROF HA SALITO TUTTI I GRADINI ISTITUZIONALI (SENATORE A VITA E PREMIER), ACCOMPAGNATO DALLA FANFARA DEI GIORNALONI DEI POTERI MARCI CHE VEDEVANO IN LUI L’ULTIMO LEADER “DELL’ANTIPOLITICA” 3. IN QUEST’IMPRESA DISASTROSA C’È SOPRATTUTTO UN GIORNALE, IL “CORRIERE DELLA SERA”, CHE DOPO L’ENDORSEMENT (“AL BUIO” COME NEL POKER) CON IL BOCCONIANO MONTI È AGGRAPPATO ANCORA ALLA SUA “ZATTERA DELLA MÉDUSA”, DESTINATA A SICURO NAUFRAGIO

DAGOANALISI

"Il cadavere sollecita un'autopsia", sentenzierebbe il saggista James Hillmann nell'esaminare lo stato di salute (politico) e l'Ego (suicida) del premier uscente, Mario Monti. Nemmeno Sua Eternità, Giulio Andreotti, che della massima: "meglio tirare campare che tirare le cuoia" aveva fatto una sorta di filosofia di vita (governativa) può competere con l'ottusa pretesa di Rigor Mortis di restare aggrappato alla scala (dell'insuccesso) da cui presto dovrà scendere con sollievo del Bel Paese.

Nel giro di appena un anno, e per grazia ricevuta da Re Giorgio, il Professore ha salito tutti i gradini istituzionali (senatore a vita e premier), accompagnato dalla fanfara dei giornaloni dei Poteri marci che vedevano in lui l'ultimo leader "a saldo" del partito "dell'antipolitica".
Il cane da guardia di un bipolarismo (mai nato) che con la sua agenda del rigore, elaborata da mani forti in terra d'Europa, ha portato l'Italia ha battere solo il record del debito pubblico.

Ma l'apprendista stregone della Bocconi pur di prolungare la sua vita a palazzo Chigi, tradendo le aspettative del Quirinale e della sua generosa maggioranza alle Camere (Pd-Pdl-Udc), si è candidato anche alle ultime elezioni politiche uscendone però con le ossa rotte. E portato al suicidio (politico) sia l'ex furbo Casini sia l'ex presidente di Montecitorio, Gianfranco Fini.

In quest'impresa disastrosa (governabilità a rischio) da cui si è sottratto abilmente Luca Montezemolo, in tanti sono naufragati (i vari& avariati Riccardi, Cazzola, Ichino e compagnia libera&bella) sotto gli occhi addolorati ma compiacenti dei media, che avevano accompagnato la traversata trionfale del nocchiero Rigor Mortis (tua, vita mea). Ma c'è soprattutto un giornale, il "Corriere della Sera", che dopo l'endorsement ("al buio" come nel poker) con il bocconiano Monti è aggrappato ancora alla sua "zattera della Médusa", destinata a sicuro naufragio.

Mentre i giornali concorrenti ("la Repubblica" e "la Stampa", in primis) hanno abbandonato al proprio "Io" (voglio una poltrona) il premier cadente che al Senato era pronto a mettersi all'incanto di sinistra e destra, in via Solferino la parola d'ordine è sempre la stessa di prima del voto: resistere, resistere, resistere.

Altrimenti meglio andare a (ri)votare a giugno con Bella Napoli ancora sul Colle più alto. Utopie dal respiro corto.
Come vecchi soldati in trincea, convinti che Caporetto sia stata un riparabile incidente di percorso, nella Fortezza Bastiani di buzzatiana memoria, al generale Cadorna-Monti, sconfitto anche nell'ultima battaglia per la presidenza del Senato, vengono riservati ognidì picchetti d'onore.

Grazie al contributo attivo di quelli che il mai troppo compianto saggista Edmondo Berselli, chiamava "i fornitori di opinioni", allevati e coltivati alla scuola serale di Paolino Mieli.
I politologi à la carte, mandati in campo da Flebuccio de Bortoli nel tentativo di salvare "il soldato Mario" e infliggere violente scosse elettriche sulla pelle dell'inerme Culatello Bersani, che non vuole un Monti bis.

Il leader piddì della "mancata vittoria", nonostante l'assenza di una maggioranza certa vorrebbe riportare un "politico-politico" (magari lui) alla guida del nuovo governo. E mandare così finalmente a casa l'"esecutivo dei tecnici", tanto caro al Corrierone e ai Poteri marci.

Ecco, allora, cosa scriveva a dir poco imprudente e preveggente Angelotto Panebianco dopo che Napolitano (seccato) aveva bocciato l'auto-canditura di Monti al Senato e nel giorno stesso in cui alle Camere erano eletti - anche con il sostegno dei grillini -, Pietro Grasso Laura Boldrini: "Come era prevedibile, il matrimonio Pd e 5 Stelle non si celebrerà (...) nei giorni e nelle settimane che hanno seguito la ‘non vittoria' elettorale il Pd è apparso in preda al cupio dissolvi...".

Ma chi aveva parlato mai di "matrimonio" tra Bersani e Beppe Grillo? Dove se l'era sognato Panebianco quell'incestuoso ménage? Al più si sussurrava di un possibile flirt alla Camere tra le due controparti su alcune scelte istituzionali. Al di fuori, comunque, dai giochi di partito. Tant'è.

Il giorno dopo, il settantenne Ernesto Galli Della Loggia, invece di prendere atto che il centro sinistra di Bersani alle Camere aveva evitato l'autogol e vinto una difficile partita alle Camere (magari pure di Pirro), tornava alla carica contro il Partito democratico. E s'inventava la "frattura storica" che si sarebbe consumata con la nomina, a sua insaputa?, di Grasso e Boldrini.

Una sinistra, rilevava gaudente Della Loggia, "convinta di non poter trovare al proprio interno, nella propria storia, né volti né voci (...) capaci di rappresentarla veramente".
Già, quanta nostalgia si poteva leggere nello scritto dellalogiolestico per i vecchi compagni Ingrao, Iotti e Napolitano, che una volta presiedevano le Camere. Ma non in nome del partito e delle sua storia, come sembra voler far credere invece l'ex professorino in pensione.

La scelta delle due alte cariche dello Stato è stata sempre figlia di larghe intese istituzionali. E non ha mai provocato "strappi" storici "alla Della Loggia".

Tanto per stare all'oggi, a dopo la caduta del Muro di Berlino, al cambio del nome del partito e alla cancellazione di falce e martello dal simbolo, al Senato la sinistra ex comunista - in contrapposizione al candidato della destra -, è stata determinante sia per la scelta dell'ex Dc Mancino al Senato (1996) sia del Ppi Franco Marini (2006). E se tu vuoi, chiamalo pure "strappo"...

Quanto all'ex magistrato Luciano Violante, iscritto al partito che fu di Togliatti soltanto nel 1979 ma citato dal Della Loggia tra i presidenti della Camera insieme a Ingrao e Nilde Iotti, non apparteneva di sicuro all'album storico della nomenclatura dell'ex Pci. Forse aveva ragione il vecchio e acuto direttore del Corrierone, Mario Missiroli, quando sosteneva che per essere veramente dei bravi editorialisti non "bisogna avere alcuna idea".

 

mario montiMARIO MONTI A BERGAMO GIULIO ANDREOTTI GIANFRANCO FINI jpegPIERFERDINANDO CASINI E GIANFRANCO FINI riccardi monti GIULIANO CAZZOLA