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Gian Guido Vecchi per il Corriere della Sera
Il celibato sacerdotale? «Non è un dogma della Chiesa e se ne può discutere perché è una tradizione ecclesiastica». Le parole dell'arcivescovo Pietro Parolin, neo Segretario di Stato vaticano in carica dal 15 ottobre, non significano certo che la Chiesa stia pensando di abolire quella tradizione che «risale ai primi secoli» e della quale lo stesso Parolin difende il valore, «non si può dire, semplicemente, che appartiene al passato».
Però è importante il fatto stesso che il suo più stretto collaboratore parli di «una grande sfida per il Papa», poiché «egli possiede il ministero dell'unità e tutte queste decisioni devono essere assunte per unire la Chiesa, non per dividerla». Che dica: «à possibile parlare e riflettere e approfondire quei temi che non sono articoli di fede e pensare ad alcune modifiche, però sempre al servizio dell'unità e secondo la volontà di Dio».
Con i tempi (lunghi) della Chiesa, l'idea di «modifiche» non è più un tabù. Parolin, nunzio a Caracas, parlando al quotidiano venezuelano El Universal pondera le parole. Dice che si tratta di seguire «la volontà di Dio e la storia della Chiesa» così come «l'apertura ai segni dei tempi», ad esempio «la scarsezza del clero». Di per sé che il celibato non sia un dogma è un dato di fatto.
Eppure, nel 2006, bastò che il cardinale Cláudio Hummes ricordasse la stessa cosa perché dal Vaticano fioccassero precisazioni imbarazzate. Era stato appena nominato prefetto del clero e la cosa, si disse, gli costò un certo isolamento in Curia. Ma i tempi cambiano, il cardinale cappuccino è un grande amico di Bergoglio (fu lui ad abbracciarlo nella Sistina e dirgli: «Ricordati dei poveri!») e chi dice queste cose non rischia più l'isolamento.
Del resto il neo Segretario di Stato parla di riforme, dei cambiamenti che riprendono il Concilio e trovano «resistenze» ma «non possono mettere in pericolo l'essenza della Chiesa»: e dice che se la Chiesa «non è una democrazia» - alla fine decide il Papa - «è una buona cosa che in questi tempi ci sia spirito più democratico, nel senso di ascoltare attentamente», una «conduzione collegiale dove possono esprimersi tutte le istanze».
Proprio ieri il Papa a riunito i capi dicastero in vista della riunione del «gruppo» cardinalizio che a ottobre affronterà la riforma di Curia. Ma quali potrebbero essere le «modifiche» da discutere sul celibato? C'è un'idea che si fa strada da quando nel 2009 Benedetto XVI istituì degli «ordinariati» per gli anglicani che tornavano nella Chiesa cattolica, compresi i sacerdoti sposati.
Di per sé, non una novità assoluta: nella Chiesa cattolica esistono già dei preti sposati. La disciplina del celibato vale per la Chiesa latina, ma in quelle cattoliche orientali non c'è obbligo. C'è quindi la possibilità che in futuro si vada verso una doppia disciplina anche nella Chiesa latina. Magari con le stesse regole: solo i celibi possono essere vescovi.
Del resto grandi voci nella Chiesa hanno aperto il tema. Il cardinale Carlo Maria Martini parlò del celibato come di «un grande valore e un segno evangelico» ma diceva: «Non per questo è necessario imporlo a tutti».
Propose «la possibilità di ordinare viri probati», ovvero «uomini sposati che abbiano esperienza e maturità ». L'ipotesi era stata bocciata nel sinodo del 2005, altre voci importanti si aggiunsero. Lo stesso Bergoglio parlò del tema da cardinale, nel libro Papa Francesco. Un testo in cui afferma d'essere «pienamente convinto» che "il celibato vada conservato».
Ma dice anche che «se la Chiesa dovesse rivedere tale norma» non lo farebbe «spinta dalla scarsità » di vocazioni e comunque «non sarebbe una regola valida per tutti»: «Tratterebbe la cosa come un problema culturale di un luogo specifico, non in modo universale ma come un'opzione personale».
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