DAGOREPORT - NON TUTTO IL TRUMP VIENE PER NUOCERE: L’APPROCCIO MUSCOLARE DEL TYCOON IN POLITICA…
Maurizio Molinari per “la Stampa”
Nel supermercato «Rami Levy» di Beit Hadfus Street i prezzi sono più bassi per andare incontro alla clientela. Margalit, cassiera 36enne, è abituata a fronteggiare le lamentele di «chi vuole spendere ancora meno». Sono famiglie religiose, impiegati a termine, pensionati. È il volto di una Israele diversa dalla «Start Up Nation» di Tel Aviv.
Qui il boom dell’hi-tech si affaccia con un megastore per cellulari con l’aria condizionata che non funziona e il wi-fi è incostante. La piazza che deve il nome alle prime tipografie di Gerusalemme è divenuta lo specchio dell’impoverimento del ceto medio che Avi, venditore di falafel, riassume così: «Molti miei amici fanno le guardie nei megastore, li pagano poco e ogni 11 mesi li licenziano per non dargli i contributi, nessuno ha soldi per potersi sposare».
IL MALCONTENTO
È qui l’origine dell’indebolimento politico di Netanyahu perché il ceto medio urbano è un tradizionale bacino di voti del Likud che ora cerca nuovi leader per risollevarsi. A ridosso della centrale Ben Yehuda Street, il piccolo ristorante «Pinati» è un tempio del humus dove gli operai si ritrovano a pranzo. Davanti a pochi tavoli di legno, fra piattini di salse piccanti, gli avventori parlano del premier usando il passato.
NETANYAHU ALL ASSOCIAZIONE DEGLI EBREI AMERICANI
«Ha fatto molto per Israele ma ora pensa solo a sé e a quella moglie invadente». «Sull’Iran ha ragione Netanyahu ma perché non si occupa anche dell’ospedale dove mia madre è ricoverata da un mese?». «Bibi è diventato incapace di decidere». Per il titolare di «Pinati», elettore Likud, «Bibi deve essere messo in quarantena, a farlo devono essere Moshe Kachlun, Neftali Bennet e Yair Lapid». Sono i leader dei tre partiti che, sondaggi alla mano, raccolgono gli elettori in fuga non tanto dal Likud quanto da Netanyahu.
Kachlun, di origine libica, è un ex ministro di Bibi che ha fondato «Kulanu» per andare incontro al ceto medio. «Voterò per lui perché passa il tempo ad ascoltare famiglie e categorie con pochi soldi - dice Yosef, da Pinati - mentre Netanyahu spende i nostri soldi per comprarsi vestiti eleganti e liquori».
Come dire, Bibi si è allontanato dal popolo, dalla sua base. A Beit El, insediamento ebraico alle porte di Ramallah, il sindaco Shai Alon sostiene Bennett, leader di «Casa Ebraica», perché rimprovera al premier «di parlare tanto e agire poco» come «quest’estate a Gaza quando ha interrotto una guerra che stavamo vincendo».
LA GUERRA CON HAMAS
È l’altro fronte dello scontento verso Bibi. Nell’insediamento di Ely, dove ha sede una delle scuole religiose per i futuri soldati, l’approccio è più marcato: «È stato Bennett a spingere l’esercito a entrare a Gaza per smantellare i tunnel di Hamas - dicono alcuni ex militari - Netanyahu esitava, e poi ci ha fatto uscire quando avevamo capito come stanare Hamas».
Ad Alon Shvut invece lo scontento ha il volto di Meyer Sterman, appena sposato ma senza una casa dove andare con la moglie, «perché qui a Gush Etzion non si costruisce più da quando Netanyahu ha accettato i diktat di Obama» sulla Cisgiordania. Ed anche loro voteranno Bennett. Che si tratti di ceto medio impoverito o di giovani nazionalisti le ragioni per voltare le spalle a Bibi abbondano.
È nel tentativo di frenare questa fuga che il premier sfrutta le ultime ore di campagna puntando su messaggi estremi: «Come me non vi sarà uno Stato palestinese», «costruiremo migliaia di case in Giudea e Samaria», «mai più liberazioni di terroristi». Saranno le urne a svelare se Bibi è riuscito nell’impresa di tappare la falla nella diga del Likud.
LA RIVALE TZIPI LIVNI
Intanto sul fronte opposto Livni rinuncia alla rotazione con Herzog nella possibile guida del governo, per concentrare tutta l’attenzione sul laburista a cui i sondaggi danno una capacità di attrazione crescente fra gli incerti.
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