FLASH! - FERMI TUTTI: NON E' VERO CHE LA MELONA NON CONTA NIENTE AL PUNTO DI ESSERE RELEGATA…
Daniela Ranieri per âIl Fatto Quotidiano'
Si può perdere tempo a discutere sulla "moralità " di The Wolf of Wall Street, ignorando che se togliamo al cinema i film che ritraggono vite immorali restano Mary Poppins, Casa Vianello e poco altro, oppure riconoscervi il prequel della tragedia attuale all'apice del vitalismo irresponsabile di una finanza sempre più immateriale e apolide.
L'epopea di Jordan Belfort coincide con l'epoca in cui avere successo, sfondare, era questione di psicologia: si trattava di infilarsi nello spazio aperto alla voracità individualista da una società che correva sfrenata verso la crisi.
Un "Robin Hood perverso", lo chiama Forbes al nascere della sua stella. Belfort denuncia l'errore dicendo degli investitori: "Penso sia meglio che i loro soldi stiano nelle mie tasche".
Tecnicamente, Belfort non ruba ai poveri ma a quelli che, usando il suo stesso sistema in scala domestica, scoprono l'estasi della speculazione.
Il target sono "i giovani, gli affamati e gli stupidi ricchi". Quella fame depredava il nido familiare del ceto medio pronto a illudersi ("Devo chiedere a mia moglie. Quanto ha detto che potrei ricavarci?") e a sfaldarsi nell'alchimia che trasformava tutto, persino una biro, in oro.
Il sistema piramidale dell'uomo lupo di un altro uomo, oliato dalla manipolazione, concresce con la perversione del sogno americano: "à osceno", gli dice suo padre; "è osceno, sì", risponde Belfort, "ma nel mondo normale. E chi ci vuole vivere nel mondo normale?".
Nel mondo in cui tutto è in vendita occorre sedurre, creare un bisogno: questo è il trucco morboso motore del film, dove i pompini in ascensore e l'abuso di droghe sono comici McGuffin atti a occultare i veri peccati mortali dell'Occidente. Quelli sì sono i gesti immorali di una classe che è diventata dirigente quanto più accumulava una ricchezza demente e priva di scrupoli.
Prima di affiliarsi al Lupo, i broker sono drop-out di quartiere, pusher, commessi; nessun laureato a Yale o rappresentante della plutocrazia degli affari. Il battesimo di Belfort avviene alla Rothschild nell'87, ma dopo il lunedì nero la sua corsa prosegue, folle e sporca, in un'agenzia raffazzonata in un garage.
Belfort e i suoi non sono crudeli, ma infantilmente feroci, goffi, maniaci. L'amoralità è banale, quasi deludente: il delirio disfunzionale si basa sull'assunto di avere sempre di più. Le dipendenze liberano la pura energia, una gioia di vivere volgare e istantanea: il termine addiction rende l'ossimoro che fa dell'accumulo al di là dell'utile un contraltare del consumo e del dispendio. All'ingestione di una dose eccessiva di barbiturici (droga per casalinghe frustrate), Belfort sperimenta la paralisi cerebrale e la regressione: "Posso ancora strisciare".
Era terra vergine, l'America dei cervelli bollenti infatuati di Armani, Versace e Ferrari bianche come quella di Miami Vice. Il surf era la metafora perfetta di ogni ambizione di gloria.
Ecco la genesi della catastrofe del 2008, il retroscena ghiandolare della bolla dei mutui sub-prime, vero trauma che ha scoperchiato il legame tra fisiologia dell'accumulo e manipolazione immateriale di soldi reali: cocaina, testosterone e liquidi corporei mischiati al frusciante denaro, sostanza tra le altre responsabile di una psicosi planetaria.
Un Falò delle vanità seguito da iniezioni di penicillina per le malattie veneree, eccessi in alto, verso la pulizia di un abito sartoriale e i vetri dell'impero finanziario, e in basso, verso l'abiezione di pagare prostitute cheap e tirare al bersaglio coi nani (non brutalizzati, ma operai di una società di lancio del nano regolarmente operante sul mercato).
La lettura moralista contro gli eccessi del personaggio non vede che la depravazione più lurida è quella perpetrata in stanze refrigerate nella suadente cadenza con cui la classe dei colletti bianchi seduce al telefono quelli che deve fregare.
Dalla falla nel mercato aperta dalla pulsione del piccolo investitore parte la smagliatura dell'intero sistema che porterà allo scandalo Lehman Brothers. Il vitalismo goliardico e incosciente si gonfia all'inverosimile mentre nutre l'onda grossa della crisi, materializzata nell'onda vera in cui incappa il panfilo di Belfort.
L'eccesso pirotecnico, tribale, penetrativo è né più né meno che il sogno ingigantito di quegli investitori (a ben vedere, noi) che si lasciavano soavemente derubare; il desiderio, oggetto di rimozione della nostra correttezza politica, è il solo codice comune di dominanti e dominati.
Il denaro, dice il Lupo, non compra solo auto, sesso e mogli-cover di Playboy; compra il futuro. L'onesto agente della Fbi che torna a casa in metro osserva le facce di un'umanità vinta e sembra pensare che almeno Belfort ha vissuto. Certo ha cavalcato un'altra onda: dopo la galera finisce a tenere seminari, e la parabola del Lupo post-rehab riparte proprio dai modi in cui si può vendere l'innocente penna da cui tutto è iniziato.
Di Caprio, maschera di bestiale bellezza, mima una sodomizzazione alla chiusura di un contratto: è forse in quel secco gesto l'osceno, e la chiave di volta più poderosa di questo film epocale.
LEONARDO DI CAPRIO E JONAH HILL Daniela Ranieri Aldo Busi e Cinzia Monteverdi LEO DI CAPRIO E BRADLEY COOPERDiCaprio interpreta Belfort nel film di Scorsese wolf of wall street leonardo dicaprio leo dicaprio x DI CAPRIO HILL TITANIC VERSION
Ultimi Dagoreport
“L'INSEDIAMENTO DI TRUMP ASSUME LE SEMBIANZE DEL FUNERALE DELLA DEMOCRAZIA IN AMERICA, SANCITO DA…
DAGOREPORT – HAI VOGLIA A FAR PASSARE IL VIAGGIO A WASHINGTON DA TRUMP COME "INFORMALE": GIORGIA…
DAGOREPORT - COSA VOGLIONO FARE I CENTRISTI CHE SI SONO RIUNITI A MILANO E ORVIETO: UNA NUOVA…
DAGOREPORT - ‘’RESTO FINCHÉ AVRÒ LA FIDUCIA DI GIORGIA. ORA DECIDE LEI”, SIBILA LA PITONESSA. ESSÌ,…
DAGOREPORT - SUL PIÙ TURBOLENTO CAMBIO D'EPOCA CHE SI POSSA IMMAGINARE, NEL MOMENTO IN CUI CRISI…