DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA…
Federico Rampini per "La Repubblica"
La durezza del linguaggio serve ad allertare l'America: siamo di fronte a una «oscenità morale», un crimine contro l'umanità , ma anche una violazione di tutte le norme internazionali che da decenni vietano l'uso di armi chimiche. Per questo l'interesse vitale degli Stati Uniti è in gioco. Oltre che la credibilità di un presidente che parlò di «linea rossa da non varcare» (le armi chimiche) ormai un anno fa.
La reazione di Mosca non si fa attendere, e anche dalla durezza dei toni russi («dall'intervento ci saranno conseguenze gravissime») si capisce che Vladimir Putin non si fa più illusioni. Rischia di saltare tutta l'agenda del vertice G20, in programma tra una settimana a San Pietroburgo. Nel febbrile conto alla rovescia, molti a Washington si chiedono se Obama vorrà aspettare il G20 e fare un ultimo tentativo - senza illudersi affatto - di ottenere una neutralità russa.
Oppure se i tempi stanno precipitando e il G20 si aprirà con l'intervento militare in corso. Sarebbe un summit di fuoco, a casa del più potente alleato della Siria.
Sui contenuti la svolta di Kerry è questa: l'America non aspetta più i risultati dell'ispezione Onu. Assad ha avuto tutto il tempo di far sparire le prove, in quei 5 lunghissimi giorni durante i quali ha negato l'accesso agli ispettori Onu e al tempo stesso la sua artiglieria ha continuato a bombardare le stesse zone già martoriate dall'attacco chimico.
«C'è una ragione molto chiara - spiega Kerry - per cui Obama avvisò Assad che una violazione delle leggi sulle armi chimiche avrebbe avuto conseguenze. à la stessa ragione per cui quelle armi furono messe al bando dal mondo civile molto tempo fa, con l'accordo di nazioni che su poche altre cose sono d'accordo» (allusione alla Russia).
Dunque il presidente «prenderà una decisione informata» dopo avere concluso le consultazioni di molti leader internazionali. Ma «nessuno si illuda, ci saranno conseguenze». Obama esamina nei dettagli la lista dei possibili bersagli per
un attacco missilistico. Sul tavolo del presidente dallo scorso weekend ci sono i principali arsenali di armi chimiche di Assad, e altri obiettivi militari da colpire.
Per quanto riguarda la legittimazione internazionale, scontando che fallirà il tentativo di ottenere una risoluzione Onu (sicuramente bloccata dal veto di Putin) Obama può cercarla con due altri organismi internazionali: da una parte la Nato, dall'altra la Lega araba. Per quanto riguarda la Nato come "seconda opzione" in mancanza di una risoluzione Onu, il precedente è il Ksovo nel 1999 (primo test del "dovere d'ingerenza umanitaria"). Nel mondo arabo, decisivo è il ruolo del principe saudita Bandar, eminenza grigia di una potente coalizione anti-Assad che ha la sua cabina di regìa a Ryad.
Ma non chiamatela "guerra". Bensì "colpo". La distinzione la traccia il presidente del Council of Foreign Relations, Richard Haass, e prepara il terreno alla giustificazione che Obama potrebbe dare: non si tratta di iniziare un intervento militare per deporre Assad ma di «castigarlo» con un colpo mirato. Una serie di lanci missilistici, con missili di crociera Tomahawk in dotazione ai quattro incrociatori della Sesta Flotta che la U. S. Navy ha dispiegato nel Mediterraneo al largo delle coste siriane. Più eventuali lanci da cacciabombardieri pronti a decollare da varie basi «in Europa e in Medio Oriente».
Un'azione che infligga danni seri ad Assad, ma non l'inizio di un conflitto vero e proprio. Qui il precedente è del 1986: il bombardamento aereo ordinato da Ronald Reagan sulla Libia, per punire Gheddafi di alcuni attentati terroristici (in particolare la bomba esplosa in una discoteca a Berlino), nonché delle sue intenzioni di costruirsi armi nucleari. L'attacco aereo, in codice Operazione El Dorado Canyon, fece 40 morti in Libia ma fallì nell'obiettivo di uccidere lo stesso Gheddafi.
Haass sottolinea che «è importante distinguere tra una risposta all'uso di armi chimiche, e un intervento vero e proprio nel conflitto siriano». Sempre il presidente del Council of Foreign Affairs sottolinea che Obama non può più sottrarsi ad un colpo, sia pure limitato: «Un presidente degli Stati Uniti non può annunciare la linea rossa, e poi non fare nulla contro chi l'ha varcata. La sua credibilità è in gioco anche verso altri attori, come l'Iran».
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