DOMANDE SPARSE SUL CASO ALMASRI – CON QUALE AUTORIZZAZIONE IL TORTURATORE LIBICO VIAGGIAVA…
Francesco Candelari per "la Stampa"
Una statuetta della Coppa del mondo, un aereo della Qatar Airways, un'antenna televisiva: sono questi i tre oggetti che prova a vendermi Khalid. «Se ti piace il Qatar, ti piacciono i Mondiali di calcio, ti piace volare e ti piace Al Jazeera». In un Paese dove più dell'80 per cento della popolazione è straniero, Khalid è uno dei pochi commercianti qatarioti nel suk di Doha, la capitale. I suoi tre souvenir spiccano per il colore oro. E per il loro significato. Khalid ha ragione.
Quei tre oggetti ben rappresentano l'ascesa del piccolo emirato. Con una crescita del Pil sempre in doppia cifra negli ultimi tre anni e una proiezione per il 2011 di circa il 16%, il Qatar non sembra conoscere crisi. E nell'ultimo anno non si è accontentato di godere dei benefici della terza riserva mondiale di gas naturale, ma ha avuto un ruolo politico internazionale crescente.
Un anno fa, il 17 dicembre 2010, Mohamed Bouazizi si era dato fuoco per le strade della città tunisina di Sidi Bouzid. La morte dell'ambulante tunisino è stata la scintilla che ha acceso la primavera araba. Tunisia, Egitto, Libia, Siria. Molte delle immagini di quelle rivoluzioni ci sono arrivate tramite Al Jazeera. I giornalisti dell'emittente di Doha hanno raccontato la guerra contro Gheddafi in diretta, pagando anche un alto prezzo in termini di reporter feriti e uccisi.
Continuano a ricevere e pubblicare i video ripresi dai telefonini dei ribelli siriani. E sono diventati il media più guardato di tutto il mondo arabo. «In un Paese stretto tra l'Arabia Saudita e l'Iran, Al Jazeera è la vera arma in dotazione al Qatar», sostiene Hassan, uno dei cameraman di stanza al quartier generale di Doha.
Oggi il Qatar celebra, oltre alla festa nazionale, anche i primi 40 anni di indipendenza. Se si evita di guardare i grattacieli e si guarda invece in prospettiva, la strada della corniche, sulla quale passerà la parata, quasi somiglia a un'altra strada, nel Sud-Ovest della Libia. Entrambe hanno il deserto sullo sfondo.
Ma a Doha, l'aeroporto si trova alla fine della strada, in Libia l'aeroporto era la strada stessa. Gli aerei che atterravano nella polvere del djebel berbero non erano quelli della Qatar Airways, ma i jet militari che portavano rifornimenti di cibo, armi e medicinali ai ribelli. La provenienza però era la stessa: Doha.
Oggi il Qatar si è proposto alla Libia per guidare una coalizione internazionale che prenda il posto della Nato. E nei due Stati vicini che sono già andati al voto sembra che l'emiro abbia espresso le sue preferenze a suon di finanziamenti ai partiti. Ai Fratelli musulmani, dicono dai partiti egiziani di opposizione, circa 100 milioni di dollari. A Ennahda, il partito tunisino islamista che ha vinto le elezioni in ottobre, la cifra è top secret. Ma non sarà un caso se Ennahda aveva invitato un solo capo di Stato straniero alla cerimonia di apertura della nuova Assemblea costituente: l'emiro Hamad bin Khalifa Al Thani.
La primavera araba, però, non è stata solo l'occasione per accrescere la propria influenza in Medio Oriente. Il Qatar è al centro di una serie di iniziative per la promozione del dialogo interculturale tra Oriente e Occidente. La campionessa di questo approccio è la sceicca Moza bint Nasser, seconda moglie dell'emiro regnante. Dall'11 al 13 dicembre ha ospitato a Doha il IV Forum dell'Alleanza delle civiltà dell'Onu. Capi di Stato, ministri e rappresentanti della società civile si sono confrontati in tre giorni di dibattiti intensi. Spesate, spettacoli culturali inclusi, 2.500 persone.
Ma l'iperattivismo del Qatar è anche molto pratico. In seno alla Lega Araba l'emiro ha appoggiato le sanzioni contro la Siria, alle Nazioni Unite è riuscito a ottenere che il proprio ambasciatore diventasse il presidente dell'Assemblea generale, e con l'Unesco ha concluso un accordo per sopperire in parte al taglio dei fondi deciso dagli Stati Uniti dopo l'ammissione della Palestina.
«Eppure - mette in guardia un alto funzionario vicino al Segretario generale delle Nazioni Unite - il Qatar deve stare attento. Non tutti guardano con favore al suo attivismo. E la ricchezza non li autorizza a non rispettare le regole della diplomazia. Ban Kimoon è dovuto intervenire con l'emiro per assicurarsi che il presidente sudanese Bashir, sul quale pende un mandato di cattura internazionale, non partecipasse al Forum di dicembre».
Anche la sceicca Moza si è accorta che non basta avere i soldi per farsi valere a livello internazionale. Dietro i cantieri sempre aperti per la costruzione di nuovi grattacieli, campeggiano gli slogan a effetto della Qatar Foundation. Frasi, spiega l'Ambasciatore italiano a Doha, Andrea Ferrati, «che si propongono di spingere i qatarioti a non bearsi solo di quello che hanno, ma a diventare più attivi. Opportunità qui ce ne sono. E i qatarioti sono persone pragmatiche». Lo dimostrano l'importante base militare americana a 30 chilometri da Doha, il recente accordo di difesa firmato con l'Iran. E i Mondiali di calcio 2022.
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