DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
1.”DIFFAMAZIONE, NIENTE CARCERE MA MULTE SALATE”
Francesco Grignetti per “la Stampa”
Premio Guido Carli Alessandro Sallusti
Un voto largamente favorevole del Senato e prossimamente un ultimo passaggio alla Camera: così stanno velocemente cambiando le norme sulla diffamazione. Dopo il caso Sallusti, il giornalista condannato al carcere che solo grazie a Giorgio Napolitano è potuto tornare in libertà, e sotto le pressioni internazionali, il Parlamento ha deciso di cancellare la cella per i giornalisti. In compenso ci sono multe salate.
La legge in discussione, che per una volta vede quasi tutti i partiti d’accordo - 170 sì, 10 no e 47 astenuti -, introduce rilevanti novità: si prevede il diritto all’oblio; il giornalista non potrà più tutelare la segretezza delle sue fonti davanti al giudice; la rettifica dovrà essere pubblicata senza titolo e senza commento; rientrano nella disciplina prevista per la carta stampata anche le testate giornalistiche on-line, rischiano per la prima volta anche quelli che intentano «querele temerarie» al solo scopo di zittire i giornalisti.
«Bene la cancellazione del carcere per i giornalisti, malissimo il bavaglino delle mega multe e delle norme restrittive per il web», sostiene il sindacato Fnsi. «L’insieme delle norme mantiene l’effetto intimidatorio», commenta Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei giornalisti.
L’abolizione del carcere è la novità principale della legge. Non una depenalizzazione assoluta, come chiedeva Ossigeno, l’osservatorio congiunto tra Fnsi e Ordine sulla libertà di stampa. Restano le multe in caso di condanna: fino a 10.000 euro per una diffamazione semplice, fino a 50.000 se aggravata. Inoltre c’è la pubblicazione obbligatoria della sentenza e l’interdizione dalla professione per un periodo da uno a sei mesi.
La rettifica è obbligatoria. Il giornale, o il sito Internet, o la televisione, sono tenuti a pubblicarla e che sia senza titolazione e senza commento. Se pubblicata tal quale, il giornalista e il direttore responsabile non sono più punibili. Si possono opporre soltanto se nella rettifica vi siano affermazioni «suscettibili di incriminazione penale» o «documentalmente false». È già immaginabile il quesito: chi decide se una rettifica è documentalmente falsa?
Un’altra novità: la richiesta di essere cancellati dai motori di ricerca e dagli archivi on-line. Vale sia per chi si ritiene diffamato, sia per chiunque si senta «leso nell’onore o nella reputazione». La platea potenziale è infinita. Conferma la senatrice Rosanna Filippin, Pd, relatrice: «Ogni cittadino, in qualunque momento, avrà diritto a chiedere di oscurare i dati che lo riguardano in nome del diritto all’oblio, però solo un magistrato potrà ordinare l’oscuramento. E sarà il magistrato a valutare se c’è un interesse storico a mantenere in vita quei dati oppure a cancellarli».
C’è già chi grida al «bavaglio» per Internet. Il ddl prevede infatti che l’obbligo di rettifica, ma anche le sanzioni conseguenti a una condanna per diffamazione, valgano per le testate giornalistiche registrate e on-line. Finora le regole valevano solo per la carta stampata. È stato il M5S a volere questa norma. E il senatore Maurizio Buccarella la difende: «Chi parla di bavaglio o afferma il falso oppure sostiene che le testate on-line debbano essere libere di poter diffamare impunemente».
A ben vedere, i blog sono esentati da queste regole. Ma per questi ultimi c’è un’insidia ancora più pericolosa: per il reato di “ingiuria” c’è una multa fino a 5.000 euro. E alla stessa pena «soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica, telefonica o telematica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa». Gli ingiurianti di professione, i cosiddetti «Troll», sono avvisati.
2. “UNA LEGGE CONFUSA DA MIGLIORARE”
Caterina Malavenda per “il Corriere della Sera” - Avvocato esperto in Diritto dell’informazione
Caro direttore, con la sua approvazione in seconda lettura al Senato, si avvicina il momento dell’entrata in vigore della nuova legge sulla diffamazione ed il testo finale, emendabile ancora alla Camera, dove sta per tornare, non appare la migliore soluzione ai molteplici problemi sul tappeto. Anche a voler essere ottimisti e guardare il bicchiere mezzo pieno, non si può dire che, nello scambio fra il carcere (eliminato) e la rettifica (potenziata) con l’inasprimento di pene pecuniarie ed accessorie, ci sia stato un vero miglioramento.
Partiamo dalle pene: via la reclusione, per la diffamazione, qualunque ne sia il mezzo — stampa, radiotelevisione e anche testate on line , dopo l’approvazione di un emendamento dei 5 Stelle —, è prevista la multa fino a 10 mila euro, una somma non modesta per chi vive di accessi e pubblicità. L’equiparazione fra mezzi diversi, tutti costretti nelle stesse regole, in questo caso, come in altri, genera conseguenze paradossali.
La rettifica diventa causa di non punibilità, che sia pubblicata spontaneamente o su richiesta dell’interessato, purché con modalità ulteriormente penalizzanti, in particolare senza commento, senza risposta e senza titolo, a meno che il suo contenuto sia falso o suscettibile di incriminazione penale.
Bene, si dirà. Il direttore che non la pubblica perché non si può replicare, verrà condannato, se ha sbagliato, insieme con il suo giornalista: quindi rimane libero di decidere.
In realtà, se l’interessato si rivolge al giudice, per «costringere» il direttore alla pubblicazione, ostinarsi nel rifiuto avrà per lui conseguenze economicamente pesanti — una sanzione da 8 a 16 mila euro — e professionalmente rischiose, in ragione dell’automatico deferimento all’organo disciplinare.
E non basta: se il giornalista chiede la pubblicazione di una rettifica a un suo articolo, potrà denunciare il suo direttore, ce si rifiuti di farlo. Nessun alleggerimento è, peraltro, intervenuto sulla sua responsabilità, di fatto oggettiva, per omesso controllo, anche quando l’articolo è firmato. Anzi, è stata addirittura ampliata, visto che il direttore risponderà in proprio di tutto quanto è privo di firma; ed estesa ulteriormente, visto che la stessa responsabilità è ora prevista per il direttore della testata radiotelevisiva, finora immune da colpa per omesso controllo e persino per chi dirige un giornale on line registrato, prodotto soggetto, per sua natura, a continui aggiornamenti e che necessita, dunque, di un controllo senza interruzioni.
Il primo e più utile consiglio, allora? Non registrare le testate on line e non assumerne la direzione, se non si ha molto denaro e non si soffre d’insonnia.
Del tutto pleonastica risulta, infine, la facoltà, riconosciuta al direttore, di delegare le funzioni di controllo a un suo giornalista, peraltro senza alcun incentivo economico: quale persona sana di mente accetterebbe?
Nessuna novità utile neppure sul fronte dei risarcimenti per querele o cause civili temerarie, visto che le sole modifiche introdotte ribadiscono di fatto quanto previsto da norme già in vigore. Anzi, nel caso di querele temerarie, l’emendamento approvato finisce per escludere in modo definitivo che il giornalista possa essere risarcito, visto che la formula con la quale di norma viene assolto — perché il fatto non costituisce reato — non è compresa fra quelle che consentono il risarcimento.
Mentre è lecito dubitare che l’impianto normativo favorisca la circolazione delle informazioni, una novità assoluta riduce la possibilità di accedere a quelle già circolate.
È stato introdotto, infatti, il diritto di chiedere, oltre che la rettifica e l’aggiornamento delle informazioni, anche l’eliminazione dai siti internet e dai motori di ricerca, senza alcun contraddittorio, di quanto l’interessato — o i suoi eredi o il suo convivente — ritenga, a suo insindacabile giudizio, diffamatorio o lesivo della sua privacy , con la facoltà di rivolgersi al giudice, in caso di rifiuto.
Un contenzioso infinito rischia di travolgere chi decidesse di resistere alla probabile valanga di richieste e buchi progressivi impediranno di conservare intatta la memoria storica di eventi, anche importanti, in assenza di temperamenti ad un diritto che appare assoluto.
Si sarebbe potuto fare di più e di meglio, ad esempio, diversificare le regole, a seconda del mezzo, eliminare la norma sulla responsabilità del direttore, se è noto l’autore, fissare regole più stringenti per i risarcimenti da lite temeraria, modulare meglio la rettifica, consentendo una maggiore libertà di scelta e la facoltà di replicare, quando appaia inevitabile e prevedendone la collocazione in uno spazio convenzionale.
A questo punto, essendo inutile recriminare o dare suggerimenti, che rimangono inascoltati, c’è solo da sperare che questa legge, così com’è, non veda mai la luce.
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