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Maurizio Molinari per "La Stampa"
Vladimir Putin rafforza lo schieramento navale nel Mediterraneo Orientale per ostacolare i piani dell'attacco americano al regime di Bashar Assad. Dall'inizio dell'escalation siriana il leader del Cremlino ha scelto il silenzio, lasciando ai diplomatici il compito di smentire le accuse ad Assad di aver usato i gas, ma ora compie una mossa militare: l'invio dei lanciamissili «Moskva» e «Varyag» assieme ad una «grande unità anti-sommergibili».
Attraverso l'agenzia Interfax lo stato maggiore russo spiega che sono «correzioni necessarie allo schieramento navale in ragione dei noti sviluppi in corso». Poiché Mosca ha già nell'area 16 navi da guerra e tre portaelicotteri l'intenzione è di aggiungere unità che rendano più visibile il primo dispiegamento permanente di navi nel Mediterraneo dalla dissoluzione dell'Urss. «à una manifestazione di diplomazia delle cannoniere da parte di Mosca - commenta Lee Willett, direttore di Jane's Navy International - nel deliberato tentativo di interferire in qualsiasi tipo di attacco».
Per comprendere l'entità dell'ostacolo navale che Putin sta costruendo davanti alla Siria - e in particolare al porto di Tartus, ultimo approdo amico rimasto alla flotta russa nel Mediterraneo - bisogna tener presente due elementi.
Il primo è politico, perché evidenzia l'impegno di Putin a difesa di Assad, ma il secondo è tattico perché la presenza di oltre venti navi russe complica i movimenti della flotta che Washington, Londra e Parigi stanno posizionando per l'attacco.
Ed è un grattacapo per il Pentagono in quanto i piani di intervento si basano in grande parte sulle unità navali per via della necessità di affidarsi al lancio di missili Tomahawk in ragione dell'impossibilità di usare i cacciabombardieri F-22 e F-15 sui cieli siriani, nel timore di vederli bersagliati dalle difese antiaeree fornite da Mosca ad Assad: le batterie di vecchi S-200 e i più recenti SA-22 e SA-17.
Gli unici aerei che il Pentagono può impiegare evitando tali rischi sono i droni, i bombardieri strategici o i caccia capaci di lanciare bombe guidate a centinaia di chilometri di distanza ma ciò non basta a garantire il successo del bombardamento.
Ad avvalorare lo scenario di un'operazione alleata soprattutto navale - unità di superficie e sottomarini - ci sono le mosse del capo del Pentagono Chuck Hagel che ha ordinato ieri alla quinta unità lanciamissili di schierarsi davanti alla Siria. à lo «Stout» che aggiunge ai «Mahan», «Ramage», «Barry» e «Gravely» ognuno dei quali può lanciare un massimo di 45 Tomahawk: toccherà a queste navi, affiancate da unità simili britanniche e francesi, guidare l'attacco potendo contare anche sul sostegno dei sottomarini e delle squadre navali delle portaerei «Nimitz» e «Truman» in navigazione fra Golfo Persico e Oceano Indiano.
Il regime di Assad nell'ultimo anno si è preparato a questo scenario, accumulando scorte di missili antinave cinesi e in particolare russi: i supersonici «Yakhont», capaci di colpire a 300 chilometri di distanza con una testata di 200 chili. «Gli Yakhont sono difficili da individuare e ancor più da abbattere o ingannare» assicura Nick Brown, direttore di «Jane's International Defense Review».
Non è un caso che il 5 luglio, secondo fonti Usa, Israele colpì con missili sottomarini proprio un deposito di «Yakhont» vicino Latakia. Armi in dotazione ad Assad e mosse di Putin sono tasselli di un unico mosaico: i missili antinave obbligano le navi alleate ad operare a grande distanza spingendole verso il Mediterraneo orientale dove la presenza di unità russe ne ostacola i movimenti. Ciò non impedisce a Washington di lanciare il blitz ma ne complica la gestione, mettendo a rischio i risultati.
Ma le mosse di Putin non finiscono qui: la telefonata al presidente iraniano Hassan Rohani suggerisce che altro è in arrivo.
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