NO-BAMA - LA CLINTON PRENDE LE DISTANZE, I REPUBBLICANI CHIEDONO L’IMPEACHMENT E UN SONDAGGIO LO AFFOSSA: È IL PEGGIOR PRESIDENTE DELLA STORIA AMERICANA - COLPA DELLE RIFORME RIDOTTE AD ANATRE ZOPPE E DELLA POLITICA ESTERA

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Federico Rampini per “La Repubblica

 

barack obama e hillary clintonbarack obama e hillary clinton

«More Jobs, Less War, Low Polls: The Obama Disconnect». La Cnn descrive così la stupefacente «sconnessione » tra i risultati di Barack Obama e il giudizio degli americani. Più occupazione, meno guerre, sondaggi a picco. «Con l’economia in crescita da cinque anni, una Borsa ai massimi storici, di solito arrivano alti consensi — constata il servizio della Cnn — . Riportare a casa i soldati dal fronte ha sempre rafforzato la popolarità dei nostri presidenti. Non questa volta, non con questo presidente».
 

Il più duro da ingoiare fra tutti i sondaggi negativi è quello dell’autorevole Quinnipiac University. Obama ne viene fuori come «il peggior presidente dalla seconda guerra mondiale». Lo considerano tale il 33% degli intervistati. Hanno meno giudizi negativi di lui perfino George W. Bush (28%), Richard Nixon che dovette dimettersi per lo scandalo Watergate (13%) e Jimmy Carter, distrutto dalla crisi degli ostaggi a Teheran (8%).

bill e hillary clinton con barack obamabill e hillary clinton con barack obama

 

Mike Allen, blogger di Politico.com e uno dei più acuti analisti politici, sottolinea un altro numero allarmante: «Il 54% considera Obama incompetente come uomo di governo, e questa percentuale va al di là del tradizionale schieramento di destra». Lo stesso presidente vede la “sconnessione” di cui parla Cnn.
 

Nell’ultimo mese l’economia americana ha creato altri 288.000 posti di lavoro, «ma troppi americani — riconosce Obama — sono ancora in difficoltà; io spero che capiscano, anche alla luce di questi numeri, che siamo nella direzione giusta».
 

A conferma che la situazione è grave, Hillary Clinton sta cominciando a prendere le di

SPECIALE LUGLIO I PERSONAGGI PI RAPPRESENTATIVI DEGLI USA SARAH PALIN SPECIALE LUGLIO I PERSONAGGI PI RAPPRESENTATIVI DEGLI USA SARAH PALIN

stanze dal presidente che la nominò segretario di Stato. «La maggioranza degli americani — dichiara lei — non pensa che la ripresa economica degli ultimi cinque anni li abbia aiutati». Con cautela e diplomazia, la frase è una critica del bilancio di questa Amministrazione. La Clinton sta vivendo il dilemma tipico del (futuro) candidato che succede a due mandati di un presidente del suo stesso partito: conviene rivendicare continuità, o invece è indispensabile prendere le distanze?

 

Meno diplomatica è la leader della destra populista Sarah Palin, ex candidata vicepresidente nel 2008: «È ora di avviare l’impeachment di Obama». Le ragioni per l’impeachment variano a ogni stagione, questa volta l’incriminazione dovrebbe scattare per la crisi degli immigrati clandestini che affluiscono dal Sud. La Palin omette un dettaglio: l’attuale emergenza-clandestini, con gli arrivi di minorenni che sperano di ottenere la regolarizzazione, è legata a una legge permissiva varata nell’ultimo anno di presidenza Bush.
 

SPECIALE LUGLIO I PERSONAGGI PI RAPPRESENTATIVI DEGLI USA GEORGE BUSH SPECIALE LUGLIO I PERSONAGGI PI RAPPRESENTATIVI DEGLI USA GEORGE BUSH

Nel bilancio disastroso dei sondaggi su Obama influiscono una serie di sconfitte, interne o di politica estera. La Corte suprema a maggioranza repubblicana gli ha appena inflitto due colpi: ha autorizzato l’obiezione di coscienza dei padroni se «per ragioni religiose» non vogliono pagare ai propri dipendenti l’assistenza sanitaria che includa anticoncezionali e interruzioni di gravidanza; gli stessi giudici costituzionali hanno ridotto i diritti sindacali nel pubblico impiego.

 

Le più importanti riforme di Obama — aumento del salario minimo e nuove regole per l’immigrazione — sono arenate al Congresso, dove la destra controlla la Camera e non gli fa passare nulla. Sempre alla Camera i repubblicani usano la propria maggioranza per moltiplicare le commissioni d’inchiesta su scandali veri o presunti: ultimo in data è l’affaire degli accertamenti fiscali mirati contro organizzazioni politiche vicine alla destra (in realtà quelle organizzazioni abusano dei privilegi fiscali, raccolgono donazioni esentasse che usano in modo illecito).
 

SARAH PALIN SARAH PALIN

All’estero le difficoltà sono perfino maggiori. Obama è stato accusato di avere “perso”, a turno, prima la Crimea e poi l’Iraq. L’escalation tra il governo israeliano e Hamas nella striscia di Gaza mette a nudo l’inutilità delle mediazioni Usa in Medio Oriente. In generale l’egemonia globale degli Stati Uniti viene percepita in declino. Un giornale tradizionalmente amico come il New York Times pubblica un commento intitolato: «La politica estera di Obama è troppo europea?». La tesi: «Il presidente ha voluto abbracciare l’approccio europeo fondato sul soft power nelle relazioni internazionali. Ma non funziona».
 

GEORGE W BUSH E BARACK OBAMA ALL'INAUGURAZIONE DELLA GEORGE W BUSH LIBRARYGEORGE W BUSH E BARACK OBAMA ALL'INAUGURAZIONE DELLA GEORGE W BUSH LIBRARY

Una parte dei guai di Obama è la conseguenza di una crisi del sistema politico. L’America soffre per la sindrome che The Economist ha definito il “Mito Presidenzialista” (un male comune con la Quinta Repubblica francese). La sua Costituzione crea l’illusione che la Casa Bianca sia onnipotente. Le aspettative sull’esecutivo sono enormi. In realtà gran parte dell’attività di governo — e tutto ciò che riguarda la politica di bilancio — si ferma se il Congresso non ci sta. Anche la Corte suprema ha poteri di veto e d’indirizzo molto estesi. Tutto questo genera frustrazioni e delusioni infinite in una congiuntura politica come quella attuale: con una polarizzazione estrema, e una destra che fin dal primo Inauguration Day (gennaio 2009) si è data come obiettivo principale quello di «abbattere Obama». Lontani sono i tempi delle convergenze bipartisan che consentirono a Ronald Reagan di negoziare grandi riforme con il presidente democratico della Camera, Tip O’Neill.
 

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C’è un’altra causa dell’impopolarità di Obama, evocata dal commento di Hillary Clinton sulla ripresa. La «sconnessione » che cita la Cnn ha qui la sua spiegazione. È vero, l’America entra nel suo sesto anno consecutivo di crescita economica. Qualsiasi leader europeo sarebbe felice di esibire una simile performance. E tuttavia questa ripresa è molto diseguale nella ripartizione dei benefici. Il reddito della famiglia media americana oggi è più basso del 3,7% rispetto al livello del 2009, quando la nazione era nel mezzo della recessione. Per questo una parte dei giudizi severi su Obama vengono dalla sua constituency di sinistra, da quei lavoratori che si aspettavano molto di più, quelli che la ripresa la vedono nelle statistiche ma non nelle proprie buste paga.
 

È possibile che il giudizio futuro sia più clemente verso Obama. A consolarlo c’è questo dato: oggi il secondo miglior presidente della storia (nello stesso sondaggio Quinnipiac) è Bill Clinton, che invece alla fine della sua presidenza era odiato da metà degli americani, macchiato da scandali e quasi-impeachment. Ma perché il bilancio su Obama possa migliorare in futuro, qualcosa deve cambiare nel capitalismo americano.

 

2. DA EISENHOWER A NOXON: TUTTE LE VENDETTE DELLA STORIA

Vittorio Zucconi per “La Repubblica

 

BUSH PADRE E FIGLIO ALL'INAUGURAZIONE DELLA GEORGE W BUSH LIBRARY - 2BUSH PADRE E FIGLIO ALL'INAUGURAZIONE DELLA GEORGE W BUSH LIBRARY - 2

NEGLI ultimi mesi sul trono degli Stati Uniti d’America alle spalle dei presidenti si alza, come presto comincerà a sentire anche Barack Obama, l’ombra di un angelo vendicatore, l’ala della Storia. Non sono più le elezioni, alle quali non parteciperanno mai più, ad agitarli; le leggi e le riforme che il Parlamento gli boccerà sapendo che loro sono ormai “anatre zoppe” incapaci di volare, né le ricchezze, che i diritti sulle memorie e gli ingaggi per discorsi e le donazioni, garantiranno a vita.

 

È la domanda che Richard Nixon, tra un sorso e l’altro di bourbon, rivolse nelle ultime ore della sua agonia politica a Kissinger, Herr Doktor in storia: «Henry, come sarò giudicato fra trent’anni?».
 

Ancora molto male, nel caso di “Tricky Dicky”, di Riccardino il baro, che resta relegato nei giudizi dei posteri fra i quarantaquattro presidenti americani da George Washington a Barack Obama al trentaquattresimo posto, lo stesso dove era quando fu espulso dalla Casa Bianca. Ma non per tutti l’angelo della Storia è così crudele.

 

SARAH PALINSARAH PALIN

Ci sono stati presidenti, come Dwight “Ike” Eisenhower, volati da scarsa considerazione all’ottavo posto oggi, a bocce ferme. O altri come Harry Truman, impopolare al punto di essere quasi esautorato dall’avversario Dewey nel 1948, essere oggi addirittura più rimpianto di John F. Kennedy.
 

Hillary e ObamaHillary e Obama

Popolarità in servizio e giudizi della storia sono indici troppo disomogenei fra di loro per misurare la traiettoria del futuro sul presente. Nessuno, da 150 anni, insidia la primazia inossidabile di Abramo Lincoln, ma si tende a dimenticare che l’odio per lui in vita aveva dilaniato l’Unione e armato la mano dell’assassino. Kennedy, venerato sull’altare della leggenda di Camelot, era talmente in ansia per la propria rielezione nel 1964 da aver voluto sfidare a caro prezzo l’odio che il Texas covava per lui. E solo i mediocri di buone intenzioni e modesti successi, come Jimmy Carter, galleggiano senza infamia e senza lode fra i rimpianti e il rifiuto.
 

Proclamare un Presidente in carica come il migliore o il peggiore della storia è un esercizio futile e gratuito, un giochetto da sondaggisti annoiati, come assegnare voti a giocatori mentre la partita è in corso. Per alcuni, la popolarità può dissolversi inesorabilmente, come accadde al trionfatore della Guerra Civile, il generale Ulysses Grant, assurto alla Casa Bianca dietro la gloria dei suoi moschetti vittoriosi, è oggi giudicato fra i dieci peggiori capi di Stato americani per la sua indifferenza al pozzo di corruzione che si era spalancato sotto i suoi stivali e per il famigerato “Ordine di Servizio n.11” con il quale aveva imposto l’epurazione di tutti gli ebrei dalle forze armate.

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Le decisioni che i Presidenti compiono mentre governano determinano conseguenze che soltanto nel tempo possono essere giudicate. L’Obamacare, la nuova legge sull’assicurazione sanitaria considerata dai repubblicani come un sacrilegio, è vista con la stessa rabbia idrofoba che circondò il New Deal Rooseveltiano negli anni ‘30, mentre oggi FDR è stabilmente fra i primi tre nel consenso postumo e il New Deal salvò una nazione.

 

SARAH PALIN DA RAGAZZA AL CONCORSO DI BELLEZZA SARAH PALIN DA RAGAZZA AL CONCORSO DI BELLEZZA

Nessuno aveva, o avrebbe mai più, toccato quel 90 per cento di favori plebiscitari che avvolsero George W. Bush quando parlò dalla rovine ancora calde del World Trade Center. Ora che gli effetti di quella “Guerra al Terrore” sono visibili soltanto un americano su tre ne sente la mancanza. Il vento cambia rapidamente, come suo padre scoprì nel 1992, perdendo un’elezione contro il semisconosciuto Bill Clinton dopo avere superato, con la liberazione del Kuwait soltanto un anno prima, il 70% negli indici di approvazione. L’esatto opposto della sorte di Ronald Reagan, tanto aborrito all’inizio della sua traiettoria presidenziale quanto amato alla fine dell’ottavo anno.
 

hillary obama autohillary obama auto

L’economia, naturalmente, è sempre la zavorra o il carburante che appesantisce o fa volare un Presidente quando è al timone, perché neppure la complessità di una nazione che produce 16 mila e 500 miliardi annui sfugge alla legge del «piove governo ladro». La permanente impopolarità di oscuri personaggi come John Tyler, eletto nel 1841 sull’onda dell’ennesimo crack finanziario, viene dalla percezione che non abbiano fatto abbastanza per far tornare il sereno e Tyler si vide appicciccato il soprannome permanente di His Accidency , Sua Accidenza. Non fu certamente tutta colpa di Herbert Hoover se Wall Street sprofondò nel 1929 ma la sua infelice frase, «la prosperità è dietro l’angolo», lo ha condannato all’imperituro dileggio della Storia.
 

L’incertezza, e la non prevedibilità del giudizio futuro consumano gli ultimi mesi dei Presidenti alla ricerca disperata di una legacy, un’eredità permanente. Bush il Giovane, dopo il disastro della “democrazia da esportare”, tentò la privatizzazione delle pensioni pubbliche, essendo respinto brutalmente. E oggi, senza eredità, si dedica a dipingere orrendi cagnolini e leader politici stranieri.

 

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Clinton ha la sua ultima missione da compiere, spingere la moglie su quella poltrona che fu sua e saldare definitivamente il debito politico con lei. Carter segava e limava sedie, aiutando a costruire case per i senza tetto e il vecchio, irriducibile Bush si lancia, per il novantesimo compleanno, pur infermo, con il paracadute da un aereo, imbragato a un istruttore.
 

Obama e HillaryObama e Hillary

Obama coltiva il sogno di essere colui che risolverà il problema vitale dell’America futura, non la Borsa, non il debito, non il Pil, ma l’immigrazione. Quello sarebbe il monumento più solenne al primo figlio di immigrato africano, ma le elezioni parlamentari di novembre oscurano le speranza della grande riforma su naturalizzazione e immigrazione. L’odio sottopelle dell’America contro di lui riesploderà dopo la sua uscita dalla Casa Bianca. E lui non potrà neppure consolarsi guardando, come fece Hoover, la più sensazionale opera di ingegneria idraulica nella storia americana, quella Diga Hoover che ha dissetato e popolato i deserti del Lontano West.