full protesta contro obama in palestina

OBAMA IN ISRAELE PER UNO SHOW CHE NON PIACE A NESSUNO

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Maurizio Molinari per LaStampa.it

La capitale d'Israele accoglie oggi Barack Obama coperta di bandiere a stelle e strisce, ma nei suoi mercati ebrei ed arabi tradiscono sentimenti di indifferenza, sfiducia, gelo e anche aperta ostilità nei confronti dell'illustre ospite.

Il cuore ebraico della città batte a Machanè Yehuda, il mercato dove ortodossi e laici si incontrano per acquistare ogni tipo di cibo. «Rahmo» è il ristorante-mensa dove venditori, scaricatori e operai si siedono per mangiare piatti di humus caldo. I tavoli sono una ventina. Si parla di tutto, anche ad alta voce, ma non di Obama. Introdurre il tema significa andare incontro a indifferenza e distacco.

«E' il presidente di un Paese nostro amico, lo accoglieremo come tale ma non credo potrà fare molto più di una gita» taglia corto Avner, immigrato 62 anni fa da Baghdad, venditore di frutta e ortaggi. Seduto davanti a lui il più giovane Noam, trasportatore di carni, riassume il viaggio del presidente con un'espressione: «E' una hazagà», uno show. Quando il termine risuona altri avventori annuiscono ironizzando sulla «tribù dei 500 giornalisti» piovuta a Gerusalemme da ogni parte del mondo per raccontare «un presidente che può fare assai poco».

Chiedere di più significa andare incontro a battute ironiche, se non peggio, ed a rendere bene il clima sono due universitari israeliani, mascherati da araldi medioevali, che percorrono le stradine coperte del mercato suonando con la tromba musiche da Far West. L'«Istituto per la democrazia» di Tel Aviv fotografa tali sentimenti con una statistica secondo cui il 36,5% degli ebrei israeliani considera Obama «un amico» - erano il 29 un anno fa - rispetto al 51% che lo definisce «neutrale» e il 10,5 «ostile».

Sondaggi simili non sono disponibili sui palestinesi ma davanti alla Porta di Damasco, sul lato arabo della Città Vecchia, attorno ad un venditore di caffè zuccherato un capannello di commercianti dello shuk non cela l'ostilità verso Obama. «Questa visita è pericolosa, viene ad avallare i disegni di guerra di Benjamin Netanyahu - dice Jumal, educato in un collegio francescano - contro l'Iran, il Libano e la Siria». Rami, 45 anni, nato a Gerusalemme Est, annuisce: «Obama dice di essere a favore dei palestinesi ma in quattro anni non ha fatto nulla, si limita a versare soldi al governo corrotto di Abu Mazen».

A preparare i caffè neri è Halil, non arriva a venti anni, ed è quello con meno speranza: «Da queste parti chi vuole fare davvero la pace viene ucciso, come Arafat e Rabin, non credo che Obama voglia fare la stessa fine». Il più anziano è Ahmad, abita a Shuf'at e dice di aver «appena ricevuto la notifica che la mia casa sarà abbattuta dagli israeliani». E' il più informato, ed il più ostile.

«Obama parlerà qui a migliaia di universitari - dice, con le emozioni in crescendo - ma perché ha invitato solo gli israeliani e non i nostri ragazzi? Non lo meritavano pure loro?». Ahmad trascina gli altri e la protesta contro la visita si trasforma in un coro di aperta disapprovazione che tiene banco davanti alla Porta di Damasco. Il chiasso attira alcuni tassisti del vicino parcheggio di «Notredame», enclave vaticana, che se la prendono con Abu Mazen: «Non avrebbe dovuto accogliere Obama a Ramallah, lo fa solo perché gli servono i soldi per pagare i poliziotti, ma sono elemosina, il nostro raiss, Arafat, si sarebbe comportato altrimenti».

 

COLLOQUIO ALLA CASA BIANCA TRA BARACK OBAMA E BENJAMIN NETANYAHU obama netanyahu Obama con il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente dell'Anp Abu MazenBENIAMIN NETANYAHU E BARACK OBAMA