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Stefano de Paolis per "Ansa"
Dal suo arrivo alla Casa Bianca, Barack Obama ha cavalcato i suoi successi in politica estera e della sicurezza come uno dei suoi più potenti cavalli di battaglia; ma ora, mentre le elezioni del 6 novembre si avvicinano a grandi passi, quel cavallo si sta rivelando sempre più bizzoso, e il presidente ha notevolmente ridotto la visibilità della sua azione internazionale.
O meglio, l'ha ridotta per ciò che riguarda i drammatici sviluppi in Siria, Sudan, Yemen o Egitto; mentre mantiene alto il profilo per ciò che riguarda la crisi nell'eurozona, che, come lui stesso ha detto, "ha gettato ombre sull'economia" degli Stati Uniti, e di conseguenza anche sulle prospettive di una sua rielezione alla presidenza. Come nota il Washington Post, la settimana scorsa Obama ha tenuto una videoconferenza con i leader di Italia, Germania e Francia per esortarli ad agire in fretta per evitare un aggravamento della situazione.
Il presidente ha invece mantenuto il silenzio sulla strage di Hula, in Siria, la cui condanna è stata affidata al segretario di Stato Hillary Clinton; così come le critiche alla Russia per gli ostacoli che pone affinché l'Onu possa avviare un'azione più incisiva. Allo stesso modo, sono mesi che Obama non parla più dello stallo del processo di pace israelo-palestinese, mentre l'Iran lo ha citato soprattutto per ciò che riguarda le conseguenze negative che il braccio di ferro sul nucleare iraniano ha sui mercati internazionali, in particolare quello del petrolio.
Consapevole che gli americani voteranno soprattutto pensando al fronte interno, ovvero all'economia, il suo sfidante Mitt Romeny si è finora limitato ad incalzarlo solo genericamente, accusandolo di avere una politica estera "timida", e sostenendo che se Obama verrà rieletto, l'Iran avrà certamente la bomba nucleare. Ha sostenuto anche che sulla crisi siriana il presidente avrebbe dovuto intraprendere "passi più decisi", ma non ha spiegato quali.
O nel caso del dissidente cinese cieco Chen Guangcheng ha sostenuto che ha segnato per Obama "il giorno della vergogna". Per evitare di essere visto come il fautore di una diplomazia da cowboy come quella di George W. Bush Romeny non si è finora sbilanciato sulle ricette che lui adotterebbe di fronte a problemi del genere, ma gli strateghi della campagna di Obama, e non solo, lo attendono al varco.
"La posizione di Obama in politica estera è sostanzialmente più forte di molti dei suoi predecessori democratici" ha detto al New York Times David Rothkopf, esperto di sicurezza nazionale e studioso del Carnegie Endowment for International Peace, secondo cui "il ritornello di Romney 'Io posso fare meglio' può essere facilmente disinnescato con una parola: Come?".
Jon Alterman, del Center for Strategic and International Studies (Csis) di Washington, nota dal canto suo che "c'e stato un tempo in cui il presidente cercava opportunità per lasciare la sua impronta sugli eventi nel mondo. Ora questo succede sempre meno, e il motivo potrebbe avere a che fare con la campagna elettorale".
Certo, ogni presidente in vista delle elezioni auspica una situazione internazionale il più possibile tranquilla, ma l'attualità di questa stagione elettorale sembra andare nella direzione opposta.
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