DAGOREPORT – IN POLITICA IL VUOTO NON ESISTE E QUANDO SI APPALESA, ZAC!, VIENE SUBITO OCCUPATO. E…
1. L'AMERICA CHIUDE - OBAMA ALL'ATTACCO: "SIETE IRRESPONSABILI"
Francesco Semprini per "La Stampa"
«Una crociata ideologica che calpesta i diritti di milioni di americani». Barack Obama sale in cattedra per due volte nel giro di poche ore e riserva un affondo pesante a coloro che ritiene i responsabili di una scelta priva e svuotata di ogni interesse nazionale, ovvero gli «incoscienti del Grand Old Part».
Sono passate circa quattordici ore dallo «shutdown», da quando l'immensa macchina federale è stata costretta a fermarsi perché a secco, ovvero incapace di finanziare le attività di ordinaria amministrazione. A partire dagli stipendi dei dipendenti pubblici costretti in malattia forzata o in aspettativa non retribuita sino a data da destinarsi, sino a quando sarà raggiunta un'intesa sul finanziamento della «cosa pubblica».
Quell'intesa che non è giunta domenica notte tra democratici e repubblicani, divisi da steccati ideologici e ostaggi, nel secondo caso, del manipolo «ultra-con» del Tea Party. Uno scontro che si è articolato attorno all'Obamacare, la riforma sanitaria voluta con forza dal presidente americano e osteggiata dai repubblicani, in maniera via via più viscerale procedendo verso destra nell'arco congressuale.
Tanto che nelle battute finali del confronto di ieri, si era intravisto persino un principio di spaccatura all'interno Gop, sotto la spinta dei moderati. Alla fine ha prevalso la linea dura e i Tea Party, capitanati da un agguerrito senatore Ted Cruz, protagonista di maratone ostruzionistiche estenuanti, e agevolati dall'incapacità dello speaker della Camera, John Boehner, di riportare ordine tra i suoi.
Anche la linea democratica era ispirata al motto «Obamacare o si muore», e così la riforma è entrata in vigore proprio nel momento in cui è stata staccata la spina al governo. Non accadeva dal 1995-1996, dallo scontro frontale tra l'allora presidente, Bill Clinton, e l'ex speaker, Newt Gingrich, sull'abbattimento della spesa pubblica e della sanità in particolare. Corsi e ricorsi storici.
Allora, in due fasi, durò in tutto 28 giorni e costò circa due miliardi di dollari, oggi potrebbe causare una contrazione della crescita economica nel quarto trimestre fino a 1,4 punti percentuali, e soprattutto, basterebbe che durasse poco più della metà rispetto a 17 anni fa per causare il «default», visto che il Tesoro ha fissato per il 17 ottobre il termine ultimo per trovare un accordo sull'innalzamento del tetto di debito, altrimenti sarà fallimento.
«Un default dello Stato vorrebbe dire una chiusura dell'economia», avverte Obama, mentre il portavoce Jay Carney sottolinea che le ripercussioni globali. «Basta fermare il governo attraverso le crisi, il Congresso deve smetterla con questa abitudine - ribadisce Obama anche perché, più la chiusura del governo federale sarà lunga, peggiori saranno gli effetti».
«Shutdown» vuol dire tutto fermo, dai trasporti, ai servizi civili, finanche alle celebrazioni dei matrimoni. Ferma anche, Pennsylvania Avenue: la Casa Bianca non aggiorna il sito Internet e non tiene i consueti briefing, mentre gli osservatori economici federali non aggiornano gli indicatori con possibili ricadute sui mercati.
Così se ieri i listini hanno chiuso in rialzo per aver già scontato la «pena», oggi potrebbero mostrare segni di rigetto. Al riparo dal «blackout» sono alcuni servizi essenziali, e le attività della Difesa grazie a un provvedimento ad hoc approvato in extremis, l'unico su cui da diverso tempo a questa parte, a Washington si è trovata l'intesa.
2. SANITÃ, LA RIFORMA TABÃ CHE BRUCIA I PRESIDENTI
Maurizio Molinari per "La Stampa"
Oltre un secolo di smacchi terminati con la vittoria di Barack Obama che ha generato lo shutdown: la riforma della Sanità si conferma la sfida più difficile che ogni presidente americano si trova ad affrontare sul fronte interno.
Quando all'inizio del Novecento Theodore Roosevelt è il primo a ipotizzare la copertura sanitaria per i famigliari dei dipendenti viene accusato di «progressismo» e neanche la proposta di delegare le coperture agli Stati lo aiuta: l'Associazione medica americana si mette di traverso.
La rivoluzione industriale accelera il bisogno di tutelare la salute degli operai, la Grande Depressione aggiunge il fardello della povertà e Franklin D. Roosevelt torna all'assalto del Congresso ma batte in ritirata nel 1935. Dopo la Seconda Guerra Harry Truman ottiene solo la deducibilità delle spese mediche aziendali per i dipendenti.
La copertura universale resta tabù. Nel 1965 Lyndon B.Johnson incassa i primi successi - con la creazione di Medicare e Medicaid per gli over 65 ed i meno abbienti - dimostrandosi quello che il biografo Robert Caro definisce "il signore della politica". Negli anni Settanta l'ennesimo fallimento porta il nome del vicepresidente Nelson Rockeffeler mentre Ted Kennedy, giovane senatore, dà inizio a una crociata destinata a durare oltre tre decadi.
Gerald Ford prova a diventarne l'alfiere, Jimmy Carter si impossessa del «carattere universale» ma il Congresso è indifferente. Con Reagan il progetto si inabissa mentre a risollevarlo è Bill Clinton che nel 1993 lo affida alla moglie Hillary, condannandola a una cocente umiliazione davanti a un Congresso radicalmente ostile. George W. Bush crede nel manifesto dei «Diritti dei Malati» da proteggere ma i repubblicani non lo seguono.
A interrompere le sconfitte è Obama, promulgando il 23 marzo 2010 l'«Affordable Care Act» che corona il sogno di Kennedy sull'obbligatorietà universale. Ma i repubblicani non si arrendono e da allora continuano a battersi contro l'«Obamacare», sebbene la Corte Suprema la convalidi. Nasce così la sfida dello shutdown: negare il finanziamento al governo nel giorno in cui l'Obamacare entra in vigore.
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