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Federico Rampini per “la Repubblica”
barack obama incontra aung san suu kyi 18
Il momento della grande sfida è fissato. Stasera alle otto, ora di Washington, il presidente parla alla nazione. Annuncia una serie di misure per regolarizzare gli immigrati senza documenti di soggiorno. È un gesto di enorme portata: cinque milioni di stranieri otterranno “status legale”, una regolarizzazione della loro residenza. Saranno salvi, protetti per sempre dallo spettro delle espulsioni, meno vulnerabili ai ricatti dei datori di lavoro, degli usurai, dei racket.
Usciranno dal limbo di situazioni provvisorie, precarie e pericolose. «La nostra normativa sull’immigrazione — dirà Obama stasera — non è adeguata ai tempi. È piena di difetti, e lo sappiamo. Il Congresso a tutt’oggi non ha raccolto le mie esortazioni, non ha approvato una riforma pur necessaria e urgente. E allora agisco io, subito, nell’ambito dei miei poteri legali come presidente. Miglioro il sistema immediatamente, nell’attesa che il Congresso trovi una soluzione ancora più completa e onnicomprensiva ».
Le condizioni che Obama annuncerà per la regolarizzazione degli immigrati senza documenti sono semplici: in generale sarà sufficiente aver vissuto per cinque anni negli Stati Uniti senza avere commesso alcun reato. È un dispositivo simile a quello che lo stesso Obama ha già adottato di recente per i minorenni, arrivati qui da piccoli, cresciuti come degli americani e tuttavia sprovvisti di un permesso legale di residenza. Secondo gli esperti legali consultati dalla Msnbc, la strategia legale usata da Obama si basa sul precedente che consentì a John Lennon di far revocare l’ordine di espulsione lanciato contro di lui da Richard Nixon.
È un’operazione di buonsenso, che Obama giustificherà così: «Si tratta delle stesse persone con cui conviviamo da anni. Lavorano a fianco a noi, nei ristoranti e negli alberghi, preparano da mangiare o fanno le pulizie o puliscono i giardini. Rispettano la legge, lavorano sodo. È ora che escano dalla paura, escano dalla penombra, possano esercitare dei diritti, e anche pagare tutte le tasse sui redditi non più sommersi». Ma quest’operazione di buonsenso è una bomba politica. Per i repubblicani è «la parola che comincia con la A…», quasi un’oscenità, un termine che scatena passioni infuocate. Amnistia. La corrente xenofoba in seno alla destra è cresciuta negli ultimi anni, in parallelo con l’avanzata del Tea Party.
Questo movimento populista, anti-Stato e anti-tasse, ha un connotato razziale evidente: per il 99% è fatto di bianchi. E per lo più maschi, anziani, residenti nell’America profonda ben lontana dalle metropoli costiere e multietniche; oppure negli Stati del Sud che sono al tempo stesso gli eredi del segregazionismo, nonché Stati di frontiera esposti all’arrivo di nuove ondate di immigrati dal Messico. L’influenza crescente del Tea Party ha spostato gli equilibri del partito repubblicano in favore degli oltranzisti, xenofobi, che rifiutano qualunque tipo di regolarizzazione. Gli immigrati non in regola sono 11 milioni. Non tutti dunque potranno godere della sanatoria di Obama.
La sfida del presidente consiste in questo: decide di fare da solo, usando in pieno le prerogative dell’esecutivo, proprio quando il Congresso gli diventa più ostile che mai. Mancano solo 40 giorni all’insediamento del nuovo Congresso, figlio dell’elezione di midterm, dove i repubblicani controlleranno sia la Camera che il Senato.
Si aprirà una guerra permanente fra potere esecutivo e legislativo, destinata a segnare l’ultimo biennio di presidenza Obama. Se guerra deve essere, tanto vale essere il primo ad aprire il fuoco: questo il calcolo di Obama. Che ha scelto con cura il terreno della prima battaglia. Il presidente e gran parte della leadership democratica, sono convinti che la deriva xenofoba costerà cara al partito repubblicano. Già nelle ultime elezioni presidenziali — quelle che attirano l’affluenza maggiore alle urne — si è visto il ruolo decisivo delle minoranze etniche.
Gli immigrati “undocumented”, senza permessi di soggiorno (qui la parola “clandestini” è considerata ingiusta e messa al bando), ovviamente non votano. Ma molti di loro hanno fratelli, cugini, zii, amici o colleghi che la cittadinanza l’hanno ottenuta, in un paese dove bastano cinque anni di Green Card per ottenere quasi automaticamente la naturalizzazione. E questi votano compatti a favore di chi sta dalla loro parte. Una destra che si aliena gli ispanici e gli asiatici, farà molta fatica a riconquistare la Casa Bianca nel 2016.
Nella battaglia di Obama c’è una dimensione etica: è convinto di fare la cosa giusta, e sull’immigrazione vuole lasciare un’eredità storica al Paese. C’è anche un calcolo strategico, per lanciare la riscossa democratica alle urne.
La guerra coi repubblicani sarà comunque senza quartiere. L’altroieri gli hanno bocciato la riforma dell’intelligence. Obama aveva proposto regole nuove per limitare i poteri di spionaggio della National Security Agency, il Grande Fratello le cui intercettazioni sono state esposte da Edward Snowden. «Con il terrorismo islamico che rialza la testa, non è il momento d’indebolire i nostri servizi segreti », ha ribattuto il repubblicano Mitch McConnell, che sarà il nuovo leader di maggioranza al Senato.
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