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Tommaso Labate per il Corriere della Sera
«Ce li avete presente i vecchi western? Ecco, io sono lo sceriffo. A inizio film, lo sceriffo se ne sta per i fatti suoi, tranquillo, sereno. Fino a un certo punto tollera anche le turbolenze del bandito, lo lascia fare sperando che si calmi, che nessuno si faccia male. Ma se il bandito non capisce la prima, la seconda, la terza, e continua a sparare... ecco che lo sceriffo si arrabbia. E quando si arrabbia, che fa?». «Spara anche lui», risponde qualcuno nel capannello che circonda Michele Emiliano alla bar di Montecitorio. «Esatto», risponde il governatore della Puglia. «Spara anche lui. Se spara, è anche possibile che lo sceriffo venga sparato e muoia. Ma, chissà perché, non succede quasi mai, nei western. Lo sceriffo vince, il bandito perde».
Non è difficile uscire dalla metafora. Lo «sceriffo» Emiliano, che ha appena finito di incontrare Roberto Speranza ed Enrico Rossi, chiede a Renzi di fermarsi.
È la stessa richiesta di Andrea Orlando, che quattro piani più su sta regolando i conti nei Giovani turchi schiacciando la minoranza filo-renziana di Orfini. La stessa richiesta di chi, come Piero Fassino e Maurizio Martina, capisce che un rallentamento della corsa verso il congresso lampo è l' unico marchingegno che può disinnescare la scissione. E inizia ad essere anche la stessa richiesta di Franceschini, che nella notte tra martedì e mercoledì - chiuso al Nazareno con Lotti, Boschi e lo stesso Renzi - spinge l' ex premier a riflettere: «Tanto le elezioni a giugno non ci saranno, e forse neanche a settembre. Valuta tu se è il caso di insistere subito con un congresso che inizia con un pezzo del partito che se n' è già andato».
Per quel pezzo del partito che sta già con mezzo piede fuori, e Bersani lo chiarisce anche ieri, gli spazi di mediazione sono ridotti a uno. «Finte conferenze programmatiche, no grazie. O ci si ferma davvero la giostra o arrivederci». Il canovaccio della scissione è già scritto. Sabato c' è l' adunata promossa dal tridente Speranza-Emiliano-Rossi, in cui la carta del divorzio verrà lanciata sul tavolo. «Se domenica all' assemblea del Pd si continua sulla stessa falsariga della direzione, lunedì siamo già fuori», è la linea comune dei tre.
Poi inizierebbe un' altra storia, quella della ricerca di un candidato unico. Ma sarebbe, appunto, «un' altra storia» in un altro luogo, non più nel Pd.
D' Alema, che vede la separazione un destino forse più lento ma comunque ineluttabile, ha già in tasca un calendario di incontri che lo porteranno in tour per l' Italia. A chi glielo chiede, l' ex premier fa vedere il foglietto. «Ecco qua. Solo per gli inizi di marzo, Lecce, Benevento, Genova, Salerno, Bergamo, Brescia Ho richieste a non finire». L' ultimo avviso Solo uno stop di Renzi sul percorso stabilito nella direzione di lunedì può fermare la macchina prima del burrone.
Orlando, che sulla strada della conferenza programmatica incassa il sostegno di Fassino, Martina, Zingaretti e le parole di Veltroni, ferma all' ultimo istante la conta contro i filo-renziani Orfini e Verducci.
La riunione dei Giovani turchi è tesissima. Quando Orfini tenta un' analisi, Stefano Esposito gli urla sopra: «Ma che stai dicendo? Ma lo senti quello che ci dicono dai territori, lo capisci che non vogliono la scissione? Qua ci contiamo, basta». La conta virtuale finisce 39 a 12 per il Guardasigilli ma il documento di mediazione è firmato da tutti.
È un semaforo giallo per Renzi. Se non si ferma, oggi stesso arriverà un altro documento, che potrebbe essere sottoscritto da un' ottantina di parlamentari che chiederanno un percorso congressuale lungo, che eviti la scissione. Sarà in quel testo l' ultimo pezzo della manovra di accerchiamento finale prima dell' assemblea.
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