“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
1. LA TRAPPOLA PER MANDARE VIA DONALD TRUMP
Andrea Morigi per Libero Quotidiano
Hanno teso una trappola a Donald Trump. Tecnicamente, si parla di impeachment per la Russian connection.
Vuol dire che, poiché ha vinto democraticamente le elezioni, i Democratici vogliono spodestarlo con il vecchio strumento della propaganda in puro stile sovietico. Paradossalmente, lo accusano di essere troppo amico di Vladimir Putin, che ai tempi dell' Urss faceva parte del famigerato Kgb, di cui peraltro i nemici di Trump ora stanno utilizzando i metodi.
Nel mirino, per ora, ci sono i collaboratori più stretti della Casa Bianca. Si inizia con l' abbattimento delle prede di taglia medio-piccola, per studiare la reazione del capobranco e isolarlo. A farne le spese per primo è l' ex generale e ormai ex consigliere per la Sicurezza nazionale, Michael Flynn, che aveva nascosto al vicepresidente Mike Pence di aver dato assicurazioni ai russi sull' alleggerimento delle sanzioni, proprio quando Barack Obama, ancora in carica, le stava inasprendo.
Ma anche nel resto dello staff vi era chi intratteneva cordiali rapporti con funzionari dell' intelligence russa prima delle elezioni. Magari lavoravano per la distensione, tentavano di disinnescare il meccanismo da guerra fredda messo in azione dall' ex presidente.
È sufficiente a far nascere il sospetto, perfino fra i Repubblicani, che ormai al Cremlino siano in grado di disporre di troppe informazioni confidenziali su quanto si decide nelle segrete stanze di Washington. L' Fbi non fa nemmeno in tempo a interrogare tre persone, che le indagini sono già finite sui giornali e hanno fatto il giro del mondo. Il tentativo è di intaccare, fino a sgretolarla, la compattezza della maggioranza pro-Trump al Congresso degli Stati Uniti. E siamo soltanto agli inizi.
Sebbene il dossier sia ancora incompleto, qualche stralcio ne è già emerso qua e là, soprattutto sul New York Times e sul Washington Post. L' incipit voleva essere un po' cochon, con quella incredibile vicenda di piogge dorate che vedevano protagonisti il magnate newyorchese e qualche meretrice russa. Tutto smentito, ovviamente, benché l' elemento più preoccupante fosse la voce narratrice, quella della Orbis Business Intelligence, gestita da Christopher Steele, un ex 007 britannico che operava a Mosca.
Insomma, tutto indica che è in corso una mega-operazione di disinformazione, che vede impegnati i migliori professionisti del settore. Altro che fact checking. Magari prima condannano sdegnati le presunte fake news che avrebbero causato la sconfitta di Hillary Clinton alle elezioni. Ma poi, siccome più che dal dovere di informare controllando i fatti e le fonti, molti giornalisti sono attratti dalla notorietà, cercano di inventarsi un nuovo Watergate.
In Italia, sono tattiche note e sperimentate, anche se alla lunga rivelano di essere fondate sulla menzogna. Ci era cascata perfino Camilla Cederna, che nel 1978 con un libro e le sue inchieste su L' Espresso riuscì a far dimettere anzitempo l' allora presidente della Repubblica, Giovanni Leone, salvo poi essere condannata per diffamazione perché aveva fabbricato accuse false. Però una giunta di sinistra le ha pur sempre dedicato un giardinetto a Milano.
Intanto in America si è dimesso il segretario al Lavoro Andrew Puzder, l' imprenditore della ristorazione fast-food, temendo di non ottenere sufficiente sostegno tra le file dei repubblicani per ottenere la conferma al Senato.
Ma l' obiettivo è Trump. Si accettano scommesse, rigorosamente contro di lui. Fra il pubblico più interessato alla conclusione anzitempo del mandato alla Casa Bianca vi sono allibratori e biscazzieri.
Si puntano 10 sterline e, in caso di dimissioni, se ne vincono 11. Segno che l' evento è considerato piuttosto probabile, come conferma anche l' aumento delle giocate.
Gli stanno costruendo intorno una macchinazione e a nulla vale protestare, come fa il magnate su Twitter: «Il vero scandalo è che informazioni riservate vengano illegalmente distribuite dall' intelligence come caramelle. Molto anti-americano!». Il presidente degli Stati Uniti sa di essere diventato un bersaglio e ora deve togliersi dalla linea del fuoco, dove finora si trovava soprattutto il suo chief strategist Steve Bannon, divenuto il catalizzatore dell' odio degli avversari, che lo accusano di essere l' ideologo dell' estrema destra.
La realtà è che anche i Repubblicani, ora, sono sulla difensiva. Per smarcarsi, l' amministrazione Usa prova a ribaltare le accuse: fu sotto l' amministrazione di Barack Obama, ricorda Trump, che «la Crimea fu presa dalla Russia». Dunque, polemizza, «Obama sulla Russia è andato troppo morbido?». Ma il rischio è che, a forza di marcare le distanze, il processo di riavvicinamento fra le due grandi potenze subisca un rallentamento. Comunque vada, Trump sta giocandosi una rischiosa partita alla roulette russa.
2. NON SOLO FLYNN HA AVUTO CONTATTI CON MOSCA
Paolo Mastrolilli per la Stampa
Alti dirigenti della campagna presidenziale di Donald Trump sono stati in costante contatto con agenti dei servizi segreti russi, durante tutto il processo elettorale dell' anno scorso. Lo hanno rivelato al New York Times fonti dell' intelligence americana, allargando così lo scandalo che ha costretto alle dimissioni il consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn.
Questo è uno sviluppo che avvicina sempre di più la crisi al capo della Casa Bianca, che infatti ieri ha attaccato i responsabili delle fughe di notizie, accusandoli di lavorare per vendicare la sconfitta di Hillary Clinton.
Durante la campagna elettorale Wikileaks aveva pubblicato una serie di mail rubate dagli archivi digitali del Partito democratico, per mettere in difficoltà la sua candidata. Dopo il voto Nsa, Fbi e Cia erano arrivate alla conclusione che i furti erano stati condotti da hacker russi, con l' intenzione di aiutare Trump.
Obama alla fine di dicembre aveva deciso di punire Putin espellendo 35 diplomatici, e il 29 Flynn aveva chiamato l' ambasciatore del Cremlino a Washington per rassicurarlo sulle intenzioni dell' amministrazione entrante. A causa di questa telefonata l' ex generale è stato costretto alle dimissioni, perché aveva mentito al vice presidente Pence e probabilmente violato la legge.
Ora si scopre però che non è stato il solo ad aver avuto contatti costanti con la Russia, all' interno della campagna presidenziale di Trump. L' ex manager Manafort, costretto anche lui alle dimissioni in agosto a causa dei rapporti con Mosca, e diversi altri funzionari parlavano regolarmente con gli uomini dei servizi segreti russi.
Non c' è ancora la prova che avessero coordinato con loro gli attacchi all' archivio democratico e la distribuzione a Wikileaks delle mail imbarazzanti, ma il livello e la frequenza delle comunicazioni ha insospettito le agenzie investigative Usa. I problemi ora sono due: capire meglio il contenuto e l' obiettivo delle conversazioni, e quanto ne fosse informato Trump. Se venisse provato che il candidato incoraggiava o conosceva questi contatti, lo scandalo arriverebbe alle soglie dell' Ufficio Ovale.
Ieri il presidente, che è stato costretto anche a rinunciare alla nomina di Andy Puzder come ministro del Lavoro per problemi personali, ha difeso Flynn e ha attaccato i delatori, perché violano la legge. È vero, ma la sostanza resta nella natura imbarazzante dei contenuti.
Ieri il portavoce del Cremlino ha prevedibilmente detto che è tutto falso, e oggi il segretario di Stato Tillerson avrà un primo incontro formale con il collega Lavrov alla riunione preparatoria del G20 che si terrà a Bonn. La questione però ora è nelle mani degli investigatori, e del Congresso, dove ci sono anche alcuni repubblicani che chiedono un' inchiesta parlamentare.
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