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Da âLa Stampa'
à stato progettato perché il gas russo potesse raggiungere l'Europa aggirando il territorio ucraino. Mosca e Kiev litigano da sempre sulle forniture di metano e quando le cose si mettono male chiunque chiuda il rubinetto ci va di mezzo il resto del Vecchio Continente. Ora le paventate sanzioni contro i russi mettono a rischio il gasdotto Southstream. E le ripercussioni - pesanti - arrivano in Italia: non per le forniture di oro blu, ma perché avremmo (il condizionale è ormai dovuto) una parte importante nella costruzione del tubo.
«Vedo il futuro di Southstream piuttosto fosco», ha spiegato ieri l'ad dell'Eni Paolo Scaroni alla Camera, dov'è andato proprio per spiegare la ragnatela di interessi energetici che lega Roma a Mosca.
La società capofila del consorzio che deve costruire la linea è Gazprom: per concludere il progetto ha bisogno di una serie di autorizzazioni che difficilmente l'Europa concederà , ora che si parla di sanzioni. Solo pochi giorni fa Snam (sempre di gruppo Eni si tratta) ha vinto l'appalto da due miliardi per realizzare il primo tratto off shore del tubo, nel Mar Nero. «Sono felice di quel contratto, anche se probabilmente Saipem non lo porterà avanti», ha osservato Scaroni.
L'ad del Cane a sei zampe probabilmente è più preoccupato dalla rinegoziazione dei contratti sul gas, che inevitabilmente tocca il rapporto con Gazprom: «Non è il momento migliore per andare a Mosca - ha spiegato -, ma prima o poi ce la faremo». Dalla Russia l'Italia compra il 30% del gas.
Scaroni ha ribadito che quella quota non comprometterebbe i nostri approvvigionamenti neppure se dovesse venir meno. «Certo però non potremmo a quel punto fronteggiare eventuali crisi sul fronte di altri fornitori», come Libia e Algeria. Scaroni s'è anche concesso una battuta sulla sua eventuale riconferma al vertice di Eni: «Sopravviverei anche senza».
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