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Francesco Verderami per il "Corriere della Sera"
C'è la figlia, poi ci sono i figli. E per la figlia già sette mesi fa aveva organizzato la discesa in campo: «Mai avrei immaginato di trovarmi su questo palco», è l'incipit del discorso scritto per Marina, che Silvio Berlusconi ha riletto nei giorni scorsi, trovandolo ormai superato. A logorare quel testo è stato il radicale cambio di scenario, in base al quale l'erede - se per davvero decidesse di misurarsi con il consenso - dovrebbe fare i conti con gli altri figli del Cavaliere, «perché Renzi e Grillo sono figli di Berlusconi», secondo l'ex ministro Matteoli.
«Di Berlusconi, Renzi a suo modo ripropone l'epopea della rivoluzione liberale per il cambiamento dello Stato. Mentre Grillo - a detta del dirigente forzista - ha ereditato il profilo antipolitico», compresa la prosa iconoclasta, la stessa che venti anni fa contraddistingueva il Cavaliere, impegnato a bonificare la «cloaca romana».
Non è un caso, quindi, se l'ex premier aveva tentato di avvicinare i leader del Pd e dei Cinquestelle, perché in entrambi aveva rivisto un pezzo di se stesso. Ora che i due sembrano avergli strappato ruolo e primato, offrendosi agli elettori come i capi di un nuovo bipolarismo, Berlusconi si rammarica per quello che considera un suo errore: «Ho sbagliato e mi morderei la lingua», ha ammesso il Cavaliere, quando alcuni dirigenti gli hanno rimarcato i «troppi endorsement» a favore del premier democratico.
Ma le difficoltà non possono essere ridotte a questo passo falso.
à vero, inseguendo l'abbraccio con Renzi, Berlusconi ha disatteso una regola aurea della politica, che ha sempre ripetuto ai suoi adepti e che lo ha reso vincente: «Non c'è grande partito senza un grande nemico».
Ma il leader del Pd, non avendo l'imprinting comunista, impedisce oggi di riproporre il vecchio schema. C'è invece un altro problema, di cui il Cavaliere è consapevole, e che di fatto è stato evidenziato con il rilancio del marchio Forza Italia: un'operazione simile a quella decisa agli inizi degli anni Novanta dalla Dc, che ripropose il simbolo del Ppi perché sperava con un ritorno alle origini di rigenerarsi.
L'idea del futuro incarnato dall'eventuale discesa in campo di Marina resta così all'orizzonte per esorcizzare il declino, sebbene sia ancora legato a molte, troppe variabili. Di certo quel discorso - preparato lo scorso autunno - prefigurava la fine immediata della legislatura e il ritorno alle urne. Adesso tutto è cambiato, e c'è un motivo se il possibile «sacrificio» della figlia non pare aver acceso l'immaginario di quella parte dell'elettorato azzurro che - a detta dei rilevamenti demoscopici - sarebbe per il momento intenzionata a disertare il voto.
Il fatto è che gli «altri figli» di Berlusconi stanno cannibalizzando la competizione, come si fossero divisi l'eredità politica e mediatica del Cavaliere. Anche se nulla è scontato, visto che ieri non c'è stato sondaggista a non aver preso le distanze da se stesso e dai propri numeri. Diamanti su Repubblica ha esortato i lettori alla «prudenza», D'Alimonte sul Sole li ha invitati alla «cautela».
L'unica certezza è «l'incertezza», per dirla con Pagnoncelli sul Corriere . Ma è evidente che Forza Italia non decolla, se Berlusconi ha già cambiato comunicazione in campagna elettorale. All'inizio c'era la sfida con Grillo per il secondo posto, ora - come se avesse già metabolizzato il terzo posto - cerca di invogliare l'elettorato, puntando al superamento di una certa «quota».
Già , ma quale? Se fosse «quota 20%» si tratterebbe del peggior risultato mai ottenuto da Berlusconi in undici competizioni dal â94 ad oggi. Perciò da ieri ha preso a parlare del 25%.
Resta la preoccupazione di ritrovarsi il giorno dopo le urne dietro Renzi e Grillo, inseguito dalla profezia di Alfano che - dopo la separazione - disse che «senza di noi Forza Italia sarà un terzo polo». Il fatto è che la disgregazione del centrodestra potrebbe anticipare una crisi di sistema, che le ultime inchieste rischiano di accelerare. Infatti il leader di M5S - come nel â94 fece Berlusconi - vellica il giustizialismo, perché nel fuoco purificatore in cui si vedono bruciare gli altri è più facile pensare di purificare se stessi.
«O noi o loro», dice Grillo: un concetto semplice e rivoluzionario, con cui prova ad accomunare tutti gli avversari. E Renzi, l'altro «figlio» di Berlusconi, prova ad evitare l'equiparazione con il Cavaliere, e contrappone alla «rabbia» del capo dei grillini la «speranza» del suo esecutivo. Perché, ecco la novità , dai sondaggi è emerso che una parte consistente di elettori considera Renzi il leader di un «partito del governo». La partita elettorale dunque è vista come una sfida a due, e sembra al momento oscurare il ruolo dell'ex premier.
Gli effetti di questo nuovo scenario saranno chiari solo all'apertura delle urne, ma la morsa in cui si trova Berlusconi fa capire che sono pochi i margini di azione. Per questo motivo ha frenato i propri istinti e ha evitato la rottura sulle riforme con Renzi, per non consegnarsi a Grillo. Il Cavaliere, che sette mesi fa aveva preparato il discorso per la figlia, deve vedersela con i suoi «figli».
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