RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Barbara Fiammeri per il "Sole 24 Ore"
LUIGI DI MAIO E ROBERTO FICO PARLOTTANO ALL ACCADEMIA DEI LINCEI
Non c'è più solo Beppe Grillo e non ci sarà solo Giuseppe Conte. Il successo della mediazione del comitato dei 7 e in particolare di Luigi Di Maio e Roberto Fico segna una svolta nella diatriba tra il Garante e l'ex premier. Solitamente era infatti l'intervento di Grillo o quello dello stesso Conte, quando era a Palazzo Chigi, a imporre il punto di caduta tra le varie posizioni nel Movimento. Questa volta invece è avvenuto l'inverso. A salvare M5s dalla scissione è stato il paziente lavoro del ministro degli Esteri e del presidente della Camera, accompagnati da un silenzio assordante. E anche questa è una novità. L'accordo è arrivato senza essere preceduto dai soliti mormorii utili a calibrare il testo finale.
Ora si parla di un incontro imminente tra i due contendenti (domani o giovedì) e della presentazione del nuovo statuto subito dopo. Per il voto degli iscritti però bisognerà attendere ancora un paio di settimane. Quindi la (successiva) consacrazione di Conte a Capo politico, anzi a Presidente (come previsto dal nuovo statuto) arriverà a fine mese, parallelamente alla discussione sulla riforma della Giustizia che dovrebbe atterrare in Aula alla Camera l'ultima settimana di luglio e sulla quale Conte (così come il suo ex Guardasigilli Bonafede) ha già manifestato pesanti riserve.
Eccola la nuova sfida. Il mirino è puntato sui ministri M5s, primo su tutti proprio Di Maio, colpevole di aver avallato l'accordo proposto dal premier Mario Draghi. Un attacco che va probabilmente oltre il merito e le critiche all'intesa sulla riforma voluta da Marta Cartabia. Di Maio in questa fase ha riguadagnato consensi. Anche tra chi, pur vicino a Conte, non era così convinto di seguire l'ex premier nella scissione per dar vita a un nuovo partito fuori da M5s.
La scelta di favorire fin dall'inizio il riavvicinamento (è Di Maio che è andato a casa di Conte mantenendo contemporaneamente aperto il canale con il Garante quando la scissione era a un passo) ha fatto ricredere più di qualcuno sulle intenzioni del titolare della Farnesina.
E poi a votare in Cdm la riforma della Giustizia non è stato solo Di Maio, ma anche il contiano Stefano Patuanelli (che fa parte del Comitato dei 7) e la ministra Fabiana Dadone, che con l'ex presidente del Consiglio ha mantenuto ottimi rapporti, così come il titolare dei Rapporti con il Parlamento Federico D'Inca, da sempre vicino a Roberto Fico.
Una pattuglia variegata dunque, così come quella parlamentare, che nel Comitato dei 7 è stata rappresentata dai due capigruppo: il contiano Ettore Licheri al Senato e il grillino Davide Crippa alla Camera. Il compromesso messo a punto evidentemente ha convinto i rappresentanti di entrambi i fronti. Quella raggiunta è però solo una tregua e la Giustizia sarà il primo banco di prova assieme alla scelta del rappresentante M5s nel Cda della Rai.
mario draghi stefano patuanelli
Conte vuole dimostrare di essere già il leader del Movimento e farà sentire la sua voce anche a costo di irritare quello che fino a poco tempo fa era il suo principale alleato, il Pd di Enrico Letta, che però non può e non vuole seguire l'ex premier su questa strada. Conte ha smentito ai dem il disegno di voler far uscire M5s dalla maggioranza che sostiene Draghi in corrispondenza del semestre bianco, che comincia ad agosto. Ma le rassicurazioni in politica contano fino a un certo punto. Quindi nel Pd resta costante anche l'interlocuzione con Di Maio, che da domenica, dall'annuncio del via libera all'accordo tra Conte e Grillo, ha accresciuto non di poco il suo peso dentro e fuori M5s.
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