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Giacomo Galeazzi, Francesco Grignetti per "La Stampa"
I corvi volano in Italia oltre che in Vaticano. E le indagini si trasferiscono fuori dalle Mura leonine. E' partita ieri la rogatoria per indagare sui dipendenti italiani del Vaticano sospettati di aver rubato e passato ai mass media documenti riservati della Santa Sede.
La richiesta è stata inviata dalla magistratura vaticana alla Segreteria di Stato che la trasferirà all'ambasciata italiana presso la Santa Sede, da qui passerà all'ufficio quarto della Farnesina e infine al ministero della Giustizia.
Nei giorni più duri del suo pontificato, mentre le fughe di documenti riservati e l'arresto di un membro della «famiglia pontificia» scuotono fin dalle fondamenta il governo della Chiesa, Benedetto XVI condanna le «illazioni gratuite» sulla Curia vaticana, amplificate dai media, che falsano l'immagine della Santa Sede, e rinnova la sua «fiducia» e il suo «incoraggiamento» ai più stretti collaboratori, primo fra tutti, implicitamente, il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone.
La bufera su una Curia romana dipinta come terreno di intrighi e di scontri di fazioni in guerra ha fatto sì che Joseph Ratzinger pronunciasse parole inusitate sul ciclone «Vatileaks», molto al di là della tradizionale mitezza che contraddistingue il Papa tedesco.
Nel frattempo la Santa Sede chiede all'Italia di indagare insieme sui «corvi». Una collaborazione necessaria per accertare le gravissime ipotesi di reato (furto aggravato, ricettazione e attentato alla sicurezza dello Stato) a carico di diversi laici, dipendenti del Vaticano ma con cittadinanza italiana. E questa loro caratteristica «anfibia» potrebbe diventare un problema nel problema, perché se inquisiti a loro volta dalla magistratura italiana i presunti «corvi» si troverebbero a dover rispondere di reati molto pesanti.
La richiesta avanzata dai magistrati vaticani indubbiamente aggrava la posizione dei sospettati. Ci saranno interrogatori, sequestri di computer, ricostruzione di tabulati telefonici. Nella richiesta potrebbe perfino esserci la richiesta di effettuare fermi di polizia. Più di qualcuno tra i dipendenti del Vaticano lamenta intanto di essere stato soggetto a indagini «fuori protocollo» da parte della Gendarmeria sul territorio italiano. Alcuni tra i sospettati hanno parlato di intercettazioni e pedinamenti illeciti in giro per Roma. Del comandante Domenico Giani si vocifera che sarebbe rimasto troppo in confidenza con i vecchi amici del Sisde.
E' nota, per dire, la sua familiarità con il prefetto Francesco La Motta, che ai tempi del ministro Beppe Pisanu era stato messo alla Direzione «edifici di culto» dove si amministra il cosiddetto patrimonio concordatario e dove ha ottenuto diversi riconoscimenti da parte della Santa Sede, finché non è transitato ai servizi segreti e ora è vicedirettore dell'Aisi (Agenzia per le informazioni e la sicurezza interna). Benedetto XVI al termine dell'udienza generale, in un'aggiunta fuori programma, è intervenuto sulle polemiche e le ricostruzioni seguite all'arresto del suo maggiordomo Gabriele.
«Gli avvenimenti successi in questi giorni circa la Curia ed i miei collaboratori hanno recato tristezza nel mio cuore. Ma non si è mai offuscata la ferma certezza che nonostante la debolezza dell'uomo, le difficoltà e le prove, la Chiesa è guidata dallo Spirito Santo e il Signore mai le farà mancare il suo aiuto per sostenerla nel suo cammino». Il portavoce vaticano Federico Lombardi a sua volta riferisce che gli avvocati di «Paoletto», il dipendente vaticano in cella da una settimana, Carlo Fusco e Cristiana Arru, presenteranno per il loro assistito «istanza di libertà vigilata» al giudice istruttore.
PAPA BENEDETTO XVI
TARCISIO BERTONE
DOMENICO GIANI jpeg
FRANCESCO LA MOTTA E SIGNORA - copyright Pizzi
PAOLO GABRIELE
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