DAGOREPORT - COSA POTREBBE SUCCEDERE DOPO LA MOSSA DI ANDREA ORCEL CHE SI È MESSO IN TASCA IL 4,1%…
1.“VITTORIO ERA IL NOSTRO PAPA, UN ANNO DI LUTTO”
Lorenzo D’Albergo per “la Repubblica”
GIOVANI CASAMONICA INTERVISTATI DA SKYTG24 DAVANTI ALLA CHIESA DON BOSCO
«La pubblicità che avete dato al nostro funerale è un disonore». Guerino e Giorgio Casamonica, i nipoti di Vittorio, spuntano dal cancello del loro villino tra la Tuscolana e l’Anagnina. A muso duro. Ma decidono di fidarsi, ché l’occasione è buona per far ascoltare la propria campana. Nella magione dei “Re di Roma” la luce è soffusa, gli specchi coperti con grossi teli scuri: su un divano è accasciata la vedova Casamonica. Poche parole per chiedere il motivo dell’intrusione, poi il silenzio.
A romperlo sono i carabinieri. Irrompono in casa e chiedono di lasciare la casa perché il figlio della vittima è ai domiciliari. Allora parlerà Guerino. Veste di nero: «Il lutto durerà un anno. Tv spenta, niente musica. Ci faremo crescere la barba e mangeremo solo pesce. Noi onoriamo così un defunto».
Vale lo stesso per cocchi, cavalli ed elicotteri?
GIOVANI CASAMONICA INTERVISTATI DA SKYTG24 DAVANTI ALLA CHIESA DON BOSCO
«Abbiamo semplicemente rispettato la tradizione (prende la parola un fratello di Vittorio, omonimo, ndr ). Da vent’ anni usiamo i cavalli. I manifesti? Volevamo dire che ha preso il nostro popolo con il cuore. Avete scritto senza conoscere settant’anni di storia».
Tra le tante polemiche sul funerale anche quella dei permessi per il corteo.
«Non esistono autorizzazioni (a parlare è Guerino, ndr ). Nel 2002 è morto zio Antonio e siamo andati dalla Romanina al Verano con i cavalli. Io vi ho aperto la porta, non ho nulla da nascondere. Con quegli articoli i giornali hanno rovinato il futuro di noi giovani».
funerali vittorio casamonica 7
E per voi giovani chi era Vittorio?
«Era come un Papa. Era il capo della famiglia. Decideva sui figli e sui nipoti, risolveva i litigi. Era al vertice per le sue capacità. E ora siamo senza guida».
Nel suo passato ci sarebbe la Banda della Magliana. Si dice fosse il braccio destro del cassiere Nicoletti.
«Una falsità. Lui e mio suocero sono cresciuti insieme e basta. Vittorio era il nostro Re. Di noi, degli zingari della nostra famiglia. Ci ha mostrato come vivere. Ha cominciato a vendere motorini a 13 anni e a 17, senza patente, aveva già una Ferrari. Il resto sono bugie: mai stato arrestato per droga. E non era un boss, come noi non siamo un clan. I clan ammazzano e sequestrano. Ti pago se trovi un Casamonica omicida. Non si fa di tutta l’erba un fascio».
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Chiaro. Allora perché la musica del “Padrino”?
«Lo zio andava matto per il sax di Fausto Papetti, per Elvis. Amava la musica e basta. Invece il funerale è stato trasformato in una zozzeria. Era il più grande e abbiamo solo voluto fare qualcosa di più».
Quanto è costato il funerale?
«Ieri ci saranno stati mille parenti e abbiamo raccolto i soldi: 50 euro a persona. Sono venuti da Pescara, Alba Adriatica, Avezzano… lo zio oggi se lo piangono anche i sassi. Avete visto le foto al Cafè de Paris di via Veneto? Lo aspettavano tutti a braccia aperte».
Su Mafia Capitale: la famosa foto con Alemanno?
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«Luciano stava mangiando per conto suo. Qualcuno poi gli ha chiesto la foto. Ora basta». «Aspetta (parla Giorgio, ndr ) prima vogliamo dire che Vittorio nei cartelloni non era vestito di bianco per somigliare al Papa. Non volevamo offendere e ci scusiamo con il Vaticano. Ma se si parla di Casamonica è così, si generalizza. I politici, invece, quante ne hanno fatte?».
2. VIOLENTI, POTENTI E SENTIMENTALI ECCO CHI SONO QUELLI DEL CLAN
Massimo Lugli per “la Repubblica”
Le donne con le loro lunghe gonne gitane e più gioielli più di un’oreficeria di Dubai. Gli uomini in smoking nero o bianco, scintillante di lustrini, un chilo di gel e la Rolls, la Ferrari o la BMW parcheggiate fuori. I vecchi col pancione e il cappello tondo dei sinti. Le ville sparpagliate tra Tuscolana e Castelli, spesso costruite al confine tra un comune e l’altro per ostacolare sequestri e demolizioni. Le feste, i matrimoni, i fidanzamenti, le sceneggiate, le bicchierate, il rap o i neomelodici.
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I funerali sontuosi, solenni, barocchi come quello che 30 anni fa, a Torre Angela, salutò la dipartita del “Re degli zingari” del clan fratello Di Silvio. Una pacchianata alla Mario Puzo, praticamente identica a quella di giovedì a Don Bosco, con l’unica differenza che i petali di rose non planarono dal cielo ma dalle finestre. Pochi se ne accorsero, nessuno fece polemica. Altri tempi.
È una realtà criminale unica e irripetibile quella del clan Casamonica, piccolo esercito di 1.000-1.500 persone imparentate tra loro nell’arcipelago che include, oltre ai due rami principali, le famiglie De Rosa, Di Guglielmo, De Rocca, Spinelli, Cesa e Spada, tutti ferocemente aggrappati a origini e tradizioni, che si sposano, si amano divorziano, picchiano, vanno in galera parlando orgogliosamente il dialetto bastardo chiamato romanes .
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L’organizzazione criminale più radicata del Lazio, per citare un rapporto della Dia di qualche anno fa, con un patrimonio di circa 90 milioni di euro e un business pluridecennale che spazia dalla cocaina all’usura, dalle truffe al recupero crediti con la vecchia formula di comprare il creditore insolvente al 50 per cento del debito e costringerlo a pagare. Alla fine,pagano tutti.
Scesi dall’Abruzzo all’inizio degli anni 70, i Casamonica si stabilirono tra Frascati, Vermicino, Montecompatri per risalire lentamente e inesorabilmente verso le borgate della periferia sud: Romanina, Anagnina, Porta Furba. La mala romana aveva altro a cui pensare: i gangster marsigliesi della gang delle “Tre B” (Bergamelli, Bellicini, Berenguer, i cognomi dei capi) stava sistematicamente sterminando i vecchi boss capitolini per imporre il traffico di eroina nella capitale e i ragazzi della Magliana si stavano facendo le ossa con le prime rapine.
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Un’ascesa lenta e inarrestabile, fondata sugli intoccabili legami di parentela, su un’omertà di cemento armato (mai un pentito, un collaboratore, un confidente, un infiltrato) che ha portato gli ex mercanti di cavalli e auto a trattare, da pari a pari, con clan del calibro dei Casalesi, dei Molè, dei Piromalli o degli Alvaro e a stabilire un piccolo impero di paura, ricatti ed estorsioni in gran parte della zona sud della Capitale.
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Eppure, in ormai 40 anni di egemonia malavitosa, i Casamonica e i loro alleati non sono mai stati accusati di un solo omicidio. Menano, non sparano, secondo l’antica tradizione romana che disprezza il cacafoco ed esalta la forza dei cazzotti. Non a caso tra i tanti parenti ci sono due pugili di ottimo livello. Se proprio c’è da premere il grilletto, magari contro la serranda di un fidanzato sgradito o di un commerciante riottoso a sganciare il pizzo, l’incarico viene affilato alla manovalanza ben remunerata: kosovari, albanesi e romeni.
Un’amministrazione da multinazionale: depositi nelle banche di San Marino o in altri paradisi fiscali (spesso affidata alle donne che, oltre a lanciare malefici e fare le carte, godono di un certo prestigio, come nella tradizione para-matriarcale degli zingari cristiani) e una protervia da gang di quartiere. Quella dei Casamonica è una storia noir piena di contraddizioni, perfetto alternarsi di yin e yang criminale. Smerciano coca all’ingrosso ma sono capaci di tirare il pacco a un poveraccio pagando una vecchia Golf con un assegno farlocco.
Affiancano Enrico Nicoletti, ex cassiere della Magliana, nelle sue astruse speculazioni finanziarie ma si fanno arrestare per aver minacciato una badante romena che reclamava i contributi. Gestiscono una rete di spaccio al dettaglio unica nella capitale e finiscono negli impicci per il pestaggio di un allevatore di chiwawa . Massacrano di botte un marmista iraniano che pretendeva di essere pagato ma poi lo lasciano tranquillamente a lavorare in borgata: a Napoli sarebbe durato tre giorni.
Violenti, sbrasoni, sentimentali, volgari, i Casamonica fanno quello che nessun malavitoso di rango vuole fare: si mostrano in tutta la loro potenza, recitano se stessi. Rubinetti dorati, statue di malachite, coperte di guanaco, argenteria, broccati, quadri d’autore accolgono polizia e carabinieri a ogni perquisizione.
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A scadenze regolari, la procura antimafia sequestra fette dell’ immenso patrimonio e loro urlano, bestemmiano, protestano e poi ricominciano. Massima aspirazione: andare in qualche talk show, peggio che Paolini. E quando, tutti in coro, giurano che «Vittorio era un re, ci ha mostrato la vita e i divertimenti» c’è da giurare che ci credono sul serio.
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