PRIMAVERA MAROCCHINA - A RABAT E DINTORNI LE (BLANDE) RIFORME SONO ARRIVATE SENZA SANGUE E VIOLENZE - IL PARTITO ISLAMICO OTTIENE LA MAGGIORANZA MA TUTTO RESTA SOTTO IL CONTROLLO DELL’ONNIPOTENTE SOVRANO MOHAMED VI - TUTTE LE FORZE POLITICHE SONO FILOMONARCHICHE E LA SFIDA È STATA TRA UN MAROCCO “LIBERALE” E UNO “ISLAMOLIBERALE”…

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Andrea Nicastro per il "Corriere della Sera"

«Noi marocchini abbiamo visto arrivare il vento della Primavera araba e invece di corrergli incontro ci siamo chiusi in serra. I profumi saranno anche meno intensi, ma, almeno fino a oggi, abbiamo evitato grandinate». La metafora è dell'attivista e blogger Yunes Trari. Ed è azzeccata.

Nelle elezioni politiche di questo fine settimana il Marocco ha dato per la prima volta la maggioranza parlamentare al Pjd, un partito islamista moderato che ha preso il nome, «Giustizia e sviluppo», dal modello vincente in Turchia. Ma a differenza del partito che ha vinto il mese scorso in Tunisia, a differenza dei Fratelli Musulmani in Egitto o di componenti del governo provvisorio in Libia, il Pjd è da tempo inserito nella «serra» del potere di Stato.

Appena saputo della vittoria il leader del Pjd, Abdelilah Benkirane, ha chiarito i suoi obiettivi: «Preservare la monarchia, le riforme e l'economia». Una vittoria (il 20% dei seggi a scrutinio non ancora terminato) nel segno della continuità. «Siamo pronti - ha detto Benkirane - a una coalizione assieme al partito della maggioranza uscente e altre forze», tutte esplicitamente filo monarchiche, cresciute con il consenso e l'appoggio del sempre onnipotente Mohamed VI.

La sfida - spiega il maggior quotidiano marocchino Le Matin - è stata tra «il Marocco liberale e il Marocco islamoliberale». E il resto del Paese? Hanno chiamato al boicottaggio i due gruppi che animano le proteste di piazza sotto il nome Movimento 20 Febbraio. Sono i «democratici» che vorrebbero un re che regna ma non governa. Ma sono anche i favorevoli a una svolta realmente islamista dello Stato.

Difficile valutare la consistenza dei due schieramenti tanto più che oltre ai 13 milioni di marocchini aventi diritto al voto ce ne sono altri 10 milioni neppure inseriti nelle liste elettorali. In ogni caso, l'astensione che nel 2007 era al 63%, questa volta è calata al 55%. Merito, secondo le forze di governo presenti e future, della riforma costituzionale approvata in luglio e della «crescita democratica del Paese».

In risposta ai cortei che anche in Marocco hanno riempito il 2011, non solo Mohamed VI ha ordinato «per la prima volta di non sparare» (Maati Monjib, storico dell'Università di Rabat), ma ha anche ceduto briciole di potere: ora è obbligato a scegliere il premier tra le file del partito di maggioranza (e non a piacere) e toccherà a quello nominare i manager pubblici.

Mohamed Balfoul, islamista «fuori dalla cricca del potere», tra i più attivi nel Movimento 20 Febbraio, ha buon gioco nello sminuire il valore della nuova Costituzione. «È un ritocco cosmetico, il re ha diritto di veto e le sue direttive alle Camere non possono essere contraddette. Chi ha partecipato alle elezioni è complice di questa ingiustizia». Al contrario del giovane Balfoul, i difensori della monarchia sottolineano che la stabilità del Marocco nella tempesta araba discende dalle progressive aperture del sovrano: una certa libertà di stampa, un codice di famiglia progressista, l'abolizione delle feudali «Carte bianche» che garantivano l'immunità reale, un approccio «tollerante» all'ordine pubblico e più aiuti ai poveri.

«Il nodo però resta il predomino in economia - obbietta l'analista Ghassan Wail El Karmouni -. Solo la Sni, la holding del re quotata in Borsa, controlla il 10% del Pil, ma considerando proprietà immobiliari, agricole e altre partecipazioni si arriva facilmente al 30%. Con una ricchezza del genere non si può che comandare, chiunque sia in Parlamento».

 

mohamed VI re del maroccoAbdelilah BenkiraneREFERENDUM COSTITUZIONALE IN MAROCCOMarocco bandiera