
FLASH – È ALTAMENTE PROBABILE CHE MATTEO RICCI, CANDIDATO DEL CAMPO LARGO ALLA REGIONE MARCHE, SIA…
“IL PD È L'UNICO PARTITO AL MONDO IL PD IN CUI UNA PARTE DEL GRUPPO DIRIGENTE (FRANCESCHINI E BETTINI) COLLABORA ALLA FONDAZIONE DI UN ALTRO PARTITO” – STEFANO CAPPELLINI SU “REPUBBLICA” PARLA DELLA COSTRUZIONE DELLA "GAMBA DI CENTRO" NELLA COALIZIONE CHE DEVE BATTERE LA MELONI – “CHE CREDIBILITÀ PUÒ AVERE UN PARTITINO CREATO COME SUCCURSALE CENTRISTA DEL PD? MA DAVVERO IL PD GUIDATO DA ELLY SCHLEIN DEVE RINUNCIARE A PRIORI A INTERCETTARE CONSENSI “MODERATI”?" (CON L'ATTUALE LEGGE ELETTORALE, SENZA LA GAMBA CENTRISTA, IL CAMPO LARGO NON HA I VOTI NECESSARI PER BATTERE LA MELONI)
Stefano Cappellini per repubblica.it - Estratti
Mettiamo vi chiami un sondaggista – succede, succede – e chieda: secondo lei è utile un’area di centro alla coalizione progressista che sfiderà Giorgia Meloni alle Politiche? Penso che la stragrande maggioranza degli intervistati, superata la tentazione di dire che non è il cruccio a causa del quale ha perso il sonno negli ultimi mesi, risponderebbe chiaramente di sì. E come si potrebbe dare loro torto?
In un sistema che, sciaguratamente, prevede che si voti per coalizioni formate prima del voto, ampliare e diversificare l’offerta politica è certamente un vantaggio.
(...)
casini franceschini castagnetti intonano bianco fiore
È oggettivo che nel centrosinistra attuale manchi un po’ di centro: c’è la sinistra di Schlein, la sinistra-sinistra di Fratoianni e Bonelli e la sinistra-destra di Conte. La domanda successiva, e si fa più complicato rispondere, diventa questa: chi lo dovrebbe fare questo centro? Quale leader o forza politica, cioè, dovrebbe farsi carico di intercettare quella quota di elettori moderati, liberali, incerti che non votano per partito preso e che hanno bisogno di un incentivo per schierarsi con il fronte progressista?
Qui le risposte tenderebbero a divergere, e non poco. Facciamo un inventario dei candidati al ruolo: il leader di Azione Carlo Calenda si dice deciso a correre fuori dai poli. Cosa pensi di combinare andando solo con il suo partito contro le due coalizioni principali non è chiaro, ma Calenda è convinto che una questione di principio valga più del principio di realtà. Poi c’è Matteo Renzi.
Lui, al contrario di Calenda, è deciso a fare parte dell’alternativa a Meloni ma sa bene che ormai da anni è il leader con la minore potenzialità di espansione del consenso.
C’è un due o tre per cento di italiani che lo voterebbe anche se scoprisse che non si chiama Matteo Renzi, tutti gli altri tendono a non prenderlo in considerazione come opzione di voto, almeno non se è lui a guidare. Quindi chi la fa la gamba di centro? Alcune autorevoli figure del Pd, su tutte Dario Franceschini e Goffredo Bettini, ritengono sia necessario creare qualcosa di nuovo. Un soggetto dove possano confluire, oltre a Renzi e allo stesso Calenda se dovesse cambiare idea – succede, succede – altri pezzi di società civile, associazionismo, sigle minori, cattolici sparsi e liberali senza casa.
Anche in questo caso, come per le leggi elettorali, siamo di fronte a un caso più unico che raro nel mondo: un partito, il Pd, dove una parte del gruppo dirigente ritiene di dover collaborare alla fondazione di un altro partito.
ELLY SCHLEIN E VINCENZO DE LUCA
Non per spostarsi lì – Franceschini, Bettini e gli altri che la pensano come loro non hanno alcuna intenzione di lasciare il Pd – bensì per far convergere su questa nuova forza consensi che, evidentemente, disperano di poter convogliare sui dem. Un po’ come un negozio di alimentari che, davanti al fatto che una parte dei cittadini del quartiere non entra mai a comprare, anziché variare l’offerta decide di mettersi in società con altri per aprirne a fianco un altro, sempre di alimentari però con un’insegna e una vetrina diverse. Può funzionare? Forse sì, a patto di rinunciare consapevolmente e volontariamente a una quota di mercato. Con una differenza: la politica non funziona esattamente come i negozi.
Che credibilità può avere un partitino creato come succursale centrista del Pd? Esiste un elettore che non vota Pd perché non lo reputa abbastanza moderato ma voterebbe un cartello elettorale creato in laboratorio dal Pd medesimo per interpretare il centro? A me la risposta pare scontata. Dice: se ci metti un leader credibile potrebbe anche essere. Certo, una figura nuova e autorevole messa a capo dell'operazione potrebbe aiutare.
Ma, a parte che non si vedono in giro molti candidati al ruolo, il nuovo soggetto non continuerebbe a sembrare a molti elettori quel che è, ovvero un “partito contadino” del Pd? I partiti contadini, per chi non ha familiarità con il vecchio socialismo reale dei Paesi dell’Est Europa, erano quelle forze politiche create a tavolino dai regimi per simulare un inesistente pluralismo. Renzi, o Calenda se cambiasse idea (succede, succede), sono a capo di forze autenticamente diverse dal Pd, e ancora di più dal M5S.
Pensano cose diverse, dicono diverse, coprono posizioni e orientamenti che, con una robusta dose di ottimismo, potremmo definire complementari. Se si aggregassero a una coalizione di centrosinistra sarebbero sicuramente attrattivi per una quota di elettorato che non fa già parte del campo. Il partito contadino no. Può servire tutt’al più a spostare un fan di Guerini dal Pd alla nuova sigla. Qui sì che torniamo alla storia dei due negozi affiancati.
matteo renzi carlo calenda. manifestazione due popoli due stati un destino a milano foto lapresse
Infine, un’ultima domanda, anzi più di una: ma davvero il Pd guidato da Elly Schlein deve rinunciare a priori a intercettare consensi “moderati”? Il fatto di avere una leader più orientata a sinistra è ragione sufficiente per architettare questa specie di outsourcing politico, come fanno quelle aziende che delegano all’esterno funzioni che non intendono più svolgere internamente? O il Pd costretto a inventarsi partiti contadini per presidiare il centro sta rinunciando a un pezzo importante delle ragioni per cui è stato fondato?
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