DAGOREPORT – SE C’È UNO SPIATO, C’È ANCHE UNO SPIONE: IL GOVERNO MELONI SMENTISCE DI AVER MESSO…
Tommaso Montesano per “Libero Quotidiano”
Lello Di Gioia sta valutando l’ipotesi delle dimissioni dalla presidenza della commissione bicamerale di vigilanza sugli «Enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale». Proprio in attesa della decisione del deputato pugliese eletto con il Pd, i democratici hanno chiesto e ottenuto dal presidente la sospensione dei lavori dell’organismo parlamentare, che prima di Pasqua avrebbe dovuto ascoltare i nuovi vertici dell’Inps: il presidente, Tito Boeri, e il direttore generale Massimo Cioffi.
Di Gioia, finito nella bufera dopo le rivelazioni di Libero sull’assunzione della figlia Silvia a Poste Vita e l’affitto, da parte della moglie, di una casa dell’Enpam dove vive la stessa primogenita oltre che, saltuariamente, anche lui, si sarebbe preso dieci giorni di tempo per decidere.
Mercoledì sera c’è stato un confronto tra Di Gioia e il gruppo parlamentare democratico. Al presidente, un socialista giunto alla terza legislatura, il Pd ha chiesto di uscire dallo stallo: o è in grado di assicurare la gestione della Commissione fugando i dubbi sollevati dalle rivelazioni giornalistiche, oppure è il caso di riflettere sul passo indietro. Questo il senso del messaggio recapitato a Di Gioia.
Da qui, complice anche l’imminente pausa dei lavori parlamentari dovuta alle festività pasquali, la scelta di congelare il calendario della Commissione, che pure il 2 aprile prevedeva una seduta dedicata al nuovo ponte di comando dell’Inps. Seduta, come si dice in gergo parlamentare, che è stata «sconvocata» su decisione del Pd. Un segnale politico forte, quello del vertice democratico di Montecitorio, che ha spinto il presidente, apparso «scosso» ai suoi interlocutori, a iniziare a ragionare sull’ipotesi delle dimissioni.
Il Pd, che pure sottolinea come Di Gioia non sia stato raggiunto da alcun provvedimento giudiziario, teme che in assenza dei dovuti chiarimenti rischi di essere compromessa la credibilità e l’immagine della Commissione. Tutto ruota intorno a quanto rivelato da Libero martedì e mercoledì scorsi: prima la notizia dell’assunzione della figlia di Di Gioia, Silvia, a Poste Vita (il 3 febbraio 2014), come specialist di «previdenza e assistenza» alcuni mesi dopo l’elezione del padre alla presidenza della Commissione; poi l’ammissione sull’affitto di un appartamento dell’Enpam (la cassa di previdenza dei medici, vigilata dall’organismo parlamentare di palazzo San Macuto): a sottoscrivere il contratto - regolarmente consegnato alla Camera, ha precisato Di Gioia - è stata la moglie.
L’appartamento, circa 70 mq nel centro di Roma, è nella disponibilità della figlia del parlamentare e, a volte, dello stesso Di Gioia. Il deputato si è difeso nell’intervista concessa a Libero: «La Commissione non vigila su Poste Vita, controlla previdenza pubblica e le casse professionali».
Quanto all’abitazione, «il contratto di affitto è solo di cinque mesi» e non contiene alcun favore, visto che il costo è di «1.860 al mese, più le spese di condominio». Fatto sta che per il Pd si tratta di rivelazioni che impongono una riflessione, visto che arrivano dopo quanto pubblicato dal quotidiano La Repubblica sul contenuto di un’informativa della Squadra mobile di Foggia nell’ambito di un’inchiesta della procura pugliese soprannominata Goldfinger.
Il riferimento è al furto di 165 cassette di sicurezza nel caveau del Banco di Napoli (valore del bottino 15 milioni di euro). Nell’informativa della Polizia compare anche il nome di Di Gioia, non indagato, che avrebbe fatto da mediatore con i rapinatori per far recuperare una parte della refurtiva a uno dei proprietari delle cassette di sicurezza. Ricostruzione smentita dal parlamentare socialista: «Non ho aiutato nessuno e non frequento certa gente». Il «dossier Di Gioia», però, sta imbarazzando il Pd, che dopo la vicenda di Maurizio Lupi non vuole offrire il destro alle accuse dell’opposizione di «doppiopesismo».
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