DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Massimiliano Panarari per “la Stampa”
Essere figli delle (5) stelle stavolta potrebbe non bastare. Perché le altre stelle sembrano riservare a Luigi Di Maio un 2020 campale. Su tre fronti: quello internazionale, quello esterno e, ultimo ma non ultimo, quello interno. All' insegna di un oroscopo politico doppiamente turbolento a causa di uno dei (non tanti) punti fermi su cui Di Maio non cede. Ovvero, quella che potremmo chiamare la natura duale del dimaismo, che vale tanto per la concezione del Movimento quale partito al tempo stesso di lotta e di governo quanto, a livello personale, con il duplice incarico di «capo politico» e ministro degli Esteri.
Doppia carica, problemi raddoppiati, come pare che gli stiano dicendo da qualche tempo anche i due fedelissimi Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede, invitandolo a fare una scelta: o capo-partito o capo-delegazione nell' esecutivo. Ma nel tenersi tutto, oltre alla propensione all'accentramento e alla paura di lasciare spazio a qualche competitor c'è anche il nocciolo duro dell'ideologia (leggera) del dimaismo, una sorta di riedizione in salsa postmoderna della dottrina teologico-politica dei «due corpi del re» analizzata dallo storico Ernst Kantorowicz.
Così, anche Di Maio, per poter rimanere al vertice di un Movimento molto dimagrito e in uno stato di tensione permanente, ha bisogno di un «corpo politico» da capo-partito e di un «corpo naturale» (nella fattispecie, istituzionale) da ministro di prima fascia per guidare i 5 Stelle che siedono nel governo. In tal modo, analogamente ai sovrani del Medioevo, non muore mai (come leader).
LA PROVA INTERNAZIONALE
Proprio il dicastero che ha tenacemente rivendicato gli fornirà il primo fronte caldo, quello internazionale. È notoria la sua attitudine a comportarsi più da titolare di qualcuno degli affari interni che non di quelli esteri, ma sono giustappunto parecchi (e decisivi) i nodi di politica internazionale che nel 2020 arriveranno al pettine, non consentendogli più di temporeggiare. Questioni che richiedono una chiara volontà politica e azioni decise, alle quali non possono continuare a rimediare la sensibilità diplomatica e la riconosciuta competenza della tecnostruttura della Farnesina. Se ne possono citare tre su tutte.
La Libia, dove la situazione è andata tragicamente fuori controllo, e la voce dell' Italia rischia di risultare quasi ininfluente. Le relazioni con gli Stati Uniti, da un lato, e la Cina, dall' altro, dove certe ambiguità (come nella partita del 5G) hanno destato molta irritazione nel nostro alleato per antonomasia, mentre varie nazioni europee, rimanendo pienamente all' interno del solco politico-strategico dell' Alleanza atlantica, sono riuscite a sviluppare partnership commerciali assai più favorevoli con il gigante asiatico.
E qui riaffiora pure l' opacità di certe condotte filocinesi del M5S (a sua volta gravato dalla scarsa trasparenza generale che caratterizza la sua natura di azienda-partito e la simbiosi con la Casaleggio Associati). Infine, i rapporti con la Commissione europea, dove la luna di miele volge al termine, e la presenza di Paolo Gentiloni non può essere pensata come una polizza assicurativa a vita rispetto al perdurare di talune inadempienze.
Le turbolenze interne Il secondo fronte problematico per Di Maio è quello esterno, con l' elevata probabilità della deflagrazione di un Movimento in crisi verticale di consensi.
LUIGI DI MAIO INCONTRA BEPPE GRILLO A ROMA 6
In tale quadro si affollano i pretendenti alle spoglie del partito-movimento che, per un (breve) periodo, sembrava potersi trasformare nella «Balena gialla» in grado di impiantarsi al centro del sistema politico italiano. Rimane così tutta la competizione con Giuseppe Conte che, sebbene si dichiari super partes, costituisce il punto di riferimento per molti dirigenti grillini critici con l' attuale capo politico. Mentre, su sponde opposte, si moltiplicano le (intermittenti) spine nel fianco di Di Maio, da Gianluigi Paragone al dimissionario Lorenzo Fioramonti, per non parlare del silente «ex fratello» Alessandro Di Battista.
luigi di maio a l'aria che tira 2
E l' arma del «Terrore delle restituzioni» dello stipendio, sfoderata di nuovo in questi giorni, dà l' impressione di non sortire l' effetto voluto e, al contrario, aumenta le fibrillazioni e la possibilità di altre - e drammatiche per la tenuta del governo - fuoriuscite dai gruppi parlamentari. E, allora, chissà che la nostalgia dell' alleanza con Matteo Salvini non torni potentemente a farsi sentire da un Di Maio che, per reagire al calo di voti, deve valutare anche se perseguire la strada di un «mM5S».
Un «mini-Movimento 5 Stelle» che da prima forza politica nazionale si converta in «partito (macroregionale) del Sud», effettuando un percorso inverso a quello della Lega odierna. Infine, il fronte interno, in vista degli "Stati generali" annunciati per marzo. Dopo il battesimo del team dei «facilitatori» Di Maio darà oppure no un' accelerazione alla riforma organizzativa (mai portata a compimento), quella della definitiva metamorfosi del M5S in partito a tutti gli effetti? E, date le ripetute esperienze nella stanza dei bottoni, e la difficoltà di continuare a presentarsi credibilmente quale formazione antisistema, verrà finalmente ripreso senza riserve il cammino, sempre interrotto, della piena istituzionalizzazione?
Un anno che verrà che si annuncia quindi incandescente.
E visto che al momento Di Maio è leader soprattutto «per grazia di Tina» (There is no alternative, «non ci sono alternative», come amava dire la signora Thatcher, e come ha ripetuto al proposito Beppe Grillo), nel 2020 si gioca davvero tutto.
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