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Guido Salerno Aletta per www.milanofinanza.it
Colpo di scena: a maggio il saldo commerciale della Germania è girato in rosso, per la prima volta dai tempi della Riunificazione nel 1991. Il dato grezzo, positivo per appena mezzo miliardo di euro, una volta destagionalizzato e aggiustato ai giorni di calendario ha virato di segno, arrivando a un valore netto negativo di 1 miliardo di euro.
Mentre le esportazioni sono calate dello 0,5% rispetto al mese di aprile, pur se aumentate dell’11,7% rispetto al maggio del 2021, le importazioni sono cresciute in un mese del 2,7% e addirittura del 27,8% rispetto ad un anno fa.
Il forte deficit con i Paesi extraeuropei
Nel dettaglio geografico, nei confronti dei Paesi dell’Ue il saldo congiunturale aggiustato è stato ancora positivo per 5,7 miliardi, mostrando un calo dell’export del 2,8% e un aumento dell’import del 2,5%. Nei confronti dei Paesi extraeuropei, il saldo è stato invece negativo per 6,7 miliardi, a causa di un aumento più accentuato delle importazioni (+2,9%) rispetto alle importazioni (+2,3%).
Quelle provenienti dagli Usa hanno fatto un balzo (+9,7%), pur rimanendo comunque a livelli ancora modesti con 7,4 miliardi, mentre quelle dirette agli Usa hanno registrato un aumento più contenuto (+5,7%), rimanendo sempre assai più rilevanti in valore con 13,4 miliardi: la Germania esporta sempre il doppio di quanto importa.
Rispetto alla Russia, l’impatto delle sanzioni è stato vistoso: mentre le esportazioni si sono ridotte di un terzo rispetto all’anno scorso (-29,8%), l’import si è più che dimezzato (-54,5%).
Un dato che anticipa le tendenze recessive
Il dato congiunturale delle esportazioni tedesche va analizzato con cura, potendo anticipare le tendenze recessive dell’economia: rispetto ad aprile, mentre a livello globale è stata registrata una contrazione dello 0,5%, quella della Eurozona è stata assai più marcata, con il -2,8%.
Nei confronti dei Paesi europei non aderenti alla moneta unica, la contrazione è stata più marcata, con il -2,9%, ed il calo del 2,5% anche dell’export verso la Gran Bretagna: sono gli effetti della guerra in Ucraina che cominciano a mostrarsi.
Nei confronti dei Paesi terzi, l’export tedesco ha segnato un vistoso +2,3%: è molto probabilmente l’effetto della maggiore competitività di prezzo dovuta all’indebolimento dell’euro rispetto al dollaro. Il citato incremento mensile del 5,7% delle esportazioni tedesche negli Usa conferma lo spiazzamento della produzione interna statunitense.
Anche le esportazioni italiane verso i Paesi extra-Ue hanno avuto un andamento analogo a quello della Germania: la variazione congiunturale complessiva del +4,7% che è stata registrata a maggio sottende un ancor più significativo successo dei nostri prodotti sul mercato statunitense, dove è stato registrato uno spettacolare +42,5% delle vendite.
L'effetto super dollaro
Il rafforzamento del dollaro, che pur favorisce le esportazioni tedesche e italiane al di fuori dell’Eurozona, non riesce dunque a compensare il vertiginoso aumento delle importazioni dei prodotti petroliferi e delle altre materie prime che sono sempre quotate in dollari.
Non solo il rallentamento dell’economia europea non può essere compensato da un aumento dell’export extra Ue drogato dalla svalutazione dell’euro, ma anzi quest’ultima aggrava fortemente i costi delle importazioni per l’intera collettività nazionale.
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C’è un nodo che si stringe: l’andamento delle importazioni americane. Se continueranno a crescere ancora, dopo il record del 2021, sostenute sia dal disavanzo federale che dal dollaro forte, si potrebbe ripetere lo scenario dei primi anni Ottanta.
La fiammata dei prezzi petroliferi che allora era stata accesa dalla crisi iraniana fu accompagnata da una politica fiscale pure essa espansiva per via della riduzione delle imposte: entrambe alimentavano l’inflazione e la domanda interna, che a sua volta pompava le importazioni rese più convenienti dal dollaro forte per la stretta monetaria della Fed.
Difficile chiedere anche stavolta ai Paesi europei di reflazionare le proprie economie, per non crescere con le esportazioni a danno degli Usa: la resa dei conti ci sarà comunque a novembre, alle elezioni di mid-term.
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