DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Giulio Tremonti per il ''Corriere della Sera''
1720, 2020: la peste e la bolla. Certo, la storia non si ripete mai per identità perfette, ma a volte ne emergono coincidenze quasi perfette, spesso fatali. Quanto segue non ha pretesa storica: solo una suggestione che viene dal passato per arrivare ad oggi.
Nel 1720 la Francia — se non il cuore dell’Europa, certo già allora una sua gran parte e centrale — fu investita tanto da una devastante pestilenza, quanto da una catastrofe finanziaria. La peste bubbonica, detta nel caso «peste levantina» perché portata da una nave che veniva dal levante, esplose a Marsiglia e da qui, terribile, si estese verso nord, bloccando i commerci, fino al Regno Unito.
Nel 1720, e dunque nello stesso anno, sempre in Francia crollò il cosiddetto «Sistema di Law»: una finanza per allora super moderna, basata su banconote e su azioni emesse dalla «Compagnia» cui il Re aveva concesso lo sfruttamento della super reclamizzata, ma inesistente, ricchezza della «Louisiana». Il «Sistema» crollò quando, nonostante il ricorso a sempre nuovi artifici contabili, la realtà ebbe a prevalere sull’illusione, quando la povertà (ri)prese il posto della ricchezza (inventata). Ma, se la peste levantina ebbe più o meno presto termine, non fu così per la peste finanziaria: prima la lotta per le farine e per il pane, poi nel popolo crescente rabbia, mentre proseguivano le tristi feste dei reali, infine la «Rivoluzione».
Si badi, qui non si sostiene che nel 1720 l’arrivo della peste causò la catastrofe finanziaria: solo una coincidenza. Ma certo, in un mondo già allora in qualche modo pre-globale, i due fenomeni hanno comunque anticipato i tratti del mondo globale che oggi vediamo e in cui viviamo. E qui in specie: se la pandemia del 2020 avrà un prossimo termine, vinta dalla scienza e dai vaccini, non è detto che sia lo stesso per la gigantesca bolla finanziaria che già ci stava sopra e che la pandemia ha ingigantito.
Ma, se è permesso, prima di proseguire facciamo un passo indietro. Torniamo al ’700, quando infine e non per caso proprio in Francia prese forma e sostanza la triade rivoluzionaria «Liberté, Égalité, Fraternité». Una triade che sarebbe poi venuta ad esprimersi nella forza delle leggi. Non per caso ma pour cause, nei loro «Quaderni di doglianza», i rivoluzionari chiedevano: «un Re, una Legge, un Ruolo di imposta». Questa la base dei «Grandi Codici» che nei successivi due secoli hanno retto la nostra civiltà e la nostra economia.
È stato solo trenta anni fa che, con la globalizzazione, tutto è cambiato. Quella vecchia è stata sostituita da una triade nuova: «Globalité, Marché, Monnaie». Questa basata sull’idea che, in un mondo globale e perciò automaticamente progressivo e positivo, la regola giusta fosse quella che non dovevano esserci regole.
Caduti i confini nazionali ed estesa sul mondo la «Rete», questo è stato l’habitat in cui è venuta a crearsi una finanza nuova e super moderna, basata su di una «moneta» che viene dal nulla e va verso il nulla, che cresce per tutto il mondo senza controlli e senza limiti, con debiti che si fanno ma non si pagano. Contata in trilioni (i nuovi fantastiliardi) questa finanza è già più di tre volte superiore a quanto è prodotto dall’economia.
Si dice che, con tutto questo, si va verso la Mmt («Modern Monetary Theory»). Questa una teoria che per la verità non è affatto nuova, ma vecchissima: è la formula base del metafisico e catastrofico «Sistema di Law», solo con il mondo digitale al posto della «Louisiana».
Ciò che si vuole qui dire è che, se già c’è il vaccino contro il coronavirus, non c’è ancora il vaccino contro questo tipo di peste. Un vaccino questo che può essere prodotto solo in un laboratorio politico.
Per esperienza personale, dopo la (prevista) crisi finanziaria del 2008, ricordo tanto un’immagine quanto un’utopia. L’immagine era quella del videogame: è come esserci dentro, batti un mostro, ti rilassi, ma poi arriva un altro mostro diverso e ancora più grande. La crisi, portata dalla globalizzazione, non era (e non è) infatti finita: muta e ritorna in altre forme, se si sta fermi, se non si fa qualcosa.
E poi l’utopia: la sostituzione del «Free Trade» (nessuna regola) con il «Fair Trade»: regole estese a monte sulla produzione dei beni e dei servizi, così da superare l’asimmetria tipica del mondo globale, dove sopra la regola è l’anarchia, sotto — a livello nazionale — all’opposto ci sono fin troppe regole, spesso inutili, anzi paralizzanti.
Il Gls («Global Legal Standard») che incorporava l’utopia fu approvato dall’Assemblea dell’Ocse, ma fu battuto dalla finanza e in specie dall’Fsb («Financial Stability Board»): nessuna regola per l’economia, solo qualche criterio per la finanza e questo definito dalla finanza stessa.
Solo un curiosum (si fa per dire): già dieci anni fa, all’articolo 4 del Gls, si prevedevano... «regole ambientali e igieniche»!
Oggi, con la pandemia e con le sue tragedie sanitarie, ma soprattutto mentali e sociali, politiche e geopolitiche, è tornato il tempo della responsabilità e della legalità. Oggi, crollata la «Torre di Babele», nello spirito del nuovo mondo, quello che allora (nel 2009) era troppo presto può e deve tornare e prendere forma in una nuova «Bretton Woods». Questo il «Trattato», se non globale certo internazionale che, pensato sul finire della guerra (1943-4), regolò per decenni i cambi e le valute. Oggi nuove regole potrebbero, anzi dovrebbero essere estese alla produzione dei beni, questo il vero vaccino per evitare l’arrivo altrimenti certo di nuove crisi.
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