DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
Marta Ottaviani per “La Stampa”
A un anno dalla protesta di massa di Gezi Park, la Turchia è spaccata in due fra chi sta o no con il premier Erdogan. E ieri, in una Istanbul battuta da un vento gelido, dopo giorni di caldo soffocante, è andato in scena il paradosso. A Taksim, nella parte più europea della città e cuore della rivolta di 12 mesi fa, migliaia di persone sono state prese a getti di idrante, lacrimogeni e botte da una polizia inferocita, alla quale Erdogan aveva ordinato tolleranza zero (decine i feriti e centinaia gli arresti).
A Sultanahmet, cuore dell’antica Costantinopoli, migliaia di giovani islamici con le barbe lunghe e il Corano si sono ritrovati per commemorare le vittime della Mavi Marmara, l’incidente in acque internazionali che è costato la rottura con Israele. Ognuno con il suo dolore e la sua battaglia da combattere, dalle quali, però, escono due Turchie lontane anni luce l’una dall’altra.
A Taksim ieri è riuscita ad arrivare solo una parte dei manifestanti previsti, che comunque erano migliaia. La Prefettura di Istanbul ha dispiegato 25 mila poliziotti, richiamati da 11 città diverse. I collegamenti via mare e i mezzi di trasporto sono stati bloccati. Ma questo non ha impedito alle persone di commemorare le otto v?ttime di 12 mesi fa e di urlare il loro «no» al primo ministro, che arriva in un momento quanto mai delicato.
Il prossimo 15 giugno infatti Erdogan verrà molto probabilmente nominato candidato alla presidenza della Repubblica. Il premier sembra sempre più deciso non solo ad assurgere alla prima carica dello Stato, ma a far passare le migliaia di persone che hanno manifestato ieri in tutto il Paese per una minoranza rumorosa. Ieri prima del corteo ha avvisato che la polizia aveva ampio mandato, facendo capire che chi si recava a Taksim lo faceva sotto la sua responsabilità.
Le pressioni sulla stampa aumentano. I quotidiani turchi hanno palesemente ignorato le migliaia di persone che si sono radunate già venerdì sera e ieri i social network si sono rivelati, come del resto un anno fa, l’unico mezzo affidabile per capire cosa stesse succedendo. Cresce il disagio anche per la stampa straniera. Ieri il corrispondente della «Cnn», Ivan Watson, e la sua troupe sono stati fermati dalla polizia per mezz’ora. Grande spavento, per il fotoreporter italiano, Piero Castellano, colpito dalla cartuccia di un lacrimogeno, che le forze dell’ordine continuano a lanciare ad altezza d’uomo. Il fotografo sta bene.
Scenario completamente diverso dall’altra parte del Corno d’Oro, dove il corano l’ha fatta da padrone sia ieri pomeriggio sia venerdì notte, con una veglia di preghiera organizzata per chiedere la riapertura di Santa Sofia come moschea. Per loro Erdogan è il salvatore, venuto a restituire alla Turchia la sua vera identità, ossia quella islamica.
ERDOGANPROTESTE E SCONTRI A PIAZZA TAKSIM 4PROTESTE E SCONTRI A PIAZZA TAKSIM 1PROTESTE E SCONTRI A PIAZZA TAKSIM 2
A un anno dalla protesta di massa di Gezi Park, la Turchia è spaccata in due fra chi sta o no con il premier Erdogan. E ieri, in una Istanbul battuta da un vento gelido, dopo giorni di caldo soffocante, è andato in scena il paradosso. A Taksim, nella parte più europea della città e cuore della rivolta di 12 mesi fa, migliaia di persone sono state prese a getti di idrante, lacrimogeni e botte da una polizia inferocita, alla quale Erdogan aveva ordinato tolleranza zero (decine i feriti e centinaia gli arresti).
A Sultanahmet, cuore dell’antica Costantinopoli, migliaia di giovani islamici con le barbe lunghe e il Corano si sono ritrovati per commemorare le vittime della Mavi Marmara, l’incidente in acque internazionali che è costato la rottura con Israele. Ognuno con il suo dolore e la sua battaglia da combattere, dalle quali, però, escono due Turchie lontane anni luce l’una dall’altra.
A Taksim ieri è riuscita ad arrivare solo una parte dei manifestanti previsti, che comunque erano migliaia. La Prefettura di Istanbul ha dispiegato 25 mila poliziotti, richiamati da 11 città diverse. I collegamenti via mare e i mezzi di trasporto sono stati bloccati. Ma questo non ha impedito alle persone di commemorare le otto v?ttime di 12 mesi fa e di urlare il loro «no» al primo ministro, che arriva in un momento quanto mai delicato.
Il prossimo 15 giugno infatti Erdogan verrà molto probabilmente nominato candidato alla presidenza della Repubblica. Il premier sembra sempre più deciso non solo ad assurgere alla prima carica dello Stato, ma a far passare le migliaia di persone che hanno manifestato ieri in tutto il Paese per una minoranza rumorosa. Ieri prima del corteo ha avvisato che la polizia aveva ampio mandato, facendo capire che chi si recava a Taksim lo faceva sotto la sua responsabilità.
Le pressioni sulla stampa aumentano. I quotidiani turchi hanno palesemente ignorato le migliaia di persone che si sono radunate già venerdì sera e ieri i social network si sono rivelati, come del resto un anno fa, l’unico mezzo affidabile per capire cosa stesse succedendo. Cresce il disagio anche per la stampa straniera. Ieri il corrispondente della «Cnn», Ivan Watson, e la sua troupe sono stati fermati dalla polizia per mezz’ora. Grande spavento, per il fotoreporter italiano, Piero Castellano, colpito dalla cartuccia di un lacrimogeno, che le forze dell’ordine continuano a lanciare ad altezza d’uomo. Il fotografo sta bene.
Scenario completamente diverso dall’altra parte del Corno d’Oro, dove il corano l’ha fatta da padrone sia ieri pomeriggio sia venerdì notte, con una veglia di preghiera organizzata per chiedere la riapertura di Santa Sofia come moschea. Per loro Erdogan è il salvatore, venuto a restituire alla Turchia la sua vera identità, ossia quella islamica.
ERDOGANPROTESTE E SCONTRI A PIAZZA TAKSIM 4PROTESTE E SCONTRI A PIAZZA TAKSIM 1PROTESTE E SCONTRI A PIAZZA TAKSIM 2
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