PIÙ CHE UN MINISTRO UNO SCOLARO IN GITA - SACCODANNI CHIUDE IL TOUR AMERICANO SPARANDO UN’ALTRA BALLA: “L’UE NON CI HA CHIESTO TAGLI”

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Maurizio Molinari per "la Stampa"

«Da Bruxelles non sono arrivate richieste di ulteriori tagli alla spesa pubblica»: ad affermarlo è il ministro del Tesoro, Fabrizio Sacomanni, al termine di una visita di tre giorni durante la quale ha incontrato gli investitori di Wall Street che gli hanno espresso «un crescente interesse per l'Italia».

«In merito alla notizie su presunte richieste di ulteriori 6 miliardi di tagli da parte di Bruxelles posso affermare che non c'è nulla di vero» dice Saccomanni nel corso di una conferenza stampa, sottolineando che «a fare testo è l'ultima dichiarazione dell'Eurogruppo nella quale si afferma che non c'è nulla che dobbiamo fare adesso, oltre a quello che stiamo facendo».

La Commissione Europea non chiede dunque modifiche alla Legge di Stabilità anche perché «l'Italia si è assunta impegni importanti per la riduzione del debito». Riferendosi ad una recente intervista del commissario Ue per gli Affari Economici, Olli Rehn, nella quale si parlava di un «rischio debito» per l'Italia Saccomanni sottolinea che «fin dall'inizio abbiamo chiarito che il livello del debito pubblico è in aumento per due ragioni, l'accelerazione dei pagamenti di debiti accumulati dalla pubblica amministrazione con le aziende e l'aiuto dato ai programmi di stabilizzazione di altri Paesi».

Dunque, aggiunge rivolto a Rehn, «sarebbe stato meglio se la Commissione avesse spiegato che il rischio sul debito non è frutto di divergenze di finanza pubblca». Per quanto concerne la destinazione delle risorse che sono state individuate dalla "spending review", il ministro aggiunge che «è troppo presto per affermare se potranno essere usate per ridurre il cuneo fiscale» con una diminuzione delle imposte, anche se «l'ottica è di portare avanti questo processo il più possibile».

E dunque si potrebbe arrivare ad una decisione «dopo la conclusione del lavoro del commissario della spending review». Anche di questo scenario il titolare del Tesoro ha parlato negli incontri con oltre quaranta potenziali investitori americani, soffermandosi sulla possibilità che scommettano sull'Italia «come hanno iniziato a fare con altri Paesi» a cominciare dalla Spagna.

Intervenendo davanti alla Foreign policy association, Saccomanni ha riassunto il messaggio portato a Wall Street: «L'Italia ha intrapreso il sentiero della crescita grazie alle scelte compiute a favore delle liberalizzazioni, della stabilità politica e della stabilità finanziaria» rafforzando un impegno sulle «riforme necessarie, dai temi del lavoro a quelli della giustizia» che hanno trovato l'interesse degli interlocutori.

In particolare, grazie ai buoni uffici di CitiGroup, Saccomanni ha incontrato potenziali investitori nel settore immobiliare «con la capacità di realizzare operazioni importanti grazie ad una clientela non solo americana ma di altri Paesi del mondo».

Fra i temi discussi anche i «crediti incagliati che fanno soffrire i bilanci delle banche» perché «alcuni operatori americani hanno grande esperienza e potrebbero esserci di aiuto». Riguardo alle prospettive dell'Eurozona, Saccomanni ha definito «prematuri i rischi di deflazione di tipo giapponese» anche perché «abbiamo gli strumenti per evitare tale scenario».

Negli incontri avuti in precedenza a Washington con il ministro del Tesoro Jack Lew, il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke e il successore Janet Yellen, Saccomanni ha discutto delle «positive prospettive del negoziato sul libero commercio transatlantico» e dei progressi dell'Eurozona verso l'Unione Bancaria. Nella tappa all'Onu per incontrare il Segretario generale Ban Ki moon vi è stata una comune valutazione positiva dei recenti contributi italiani, guardando alla prospettiva di un rafforzamento dei centri Onu nel nostro Paese.

2. LA GAFFE DEL MINISTRO TECNICO
Da "Il Foglio"

Al ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, non si chiese certamente poco quando il governo Letta si insediò, lo scorso aprile. Con la sapienza tecnica che gli era unanimemente riconosciuta, l'ex numero due della Banca d'Italia avrebbe dovuto cogliere i frutti più immediati della pacificazione transitoria imposta dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a Pd e Pdl.

Le larghe intese nascevano infatti con l'urgenza delle grandi riforme economiche, quelle "strutturali", quelle che a elencarle ormai viene quasi noia, quelle che chiede il buon senso ancor prima che la comunità internazionale. A Saccomanni insomma non si chiedeva poco, ma ora si può pure dire con tranquillità che egli non abbia fatto molto.

Le mancate riforme si potranno imputare a tutto l'esecutivo e a tutto il Parlamento, non c'è dubbio, tuttavia molti degli inutili attriti interni alla maggioranza sono figli della superbia di chi - dal ministero dell'Economia - ha pensato di poter scavalcare accordi prettamente politici (come quelli sull'abolizione dell'Imu sulla prima casa) a suon di quisquiglie tecniche e di resistenze burocratiche.

Parliamo dello stesso ministro Saccomanni che invece non ha voluto (o saputo) fare uso della baldanza tecnocratica che da lui era lecito attendersi nella scrittura della Legge di stabilità né ha saputo allestire previsioni quanto più rigorose possibili sugli andamenti macroeconomici del paese.

Al punto che, prim'ancora del passaggio parlamentare, la manovra finanziaria italiana è stata respinta con perdite dall'Unione europea che pure farebbe di tutto per non destabilizzare il docile Letta. (Né adesso ci salveranno, come anticipato dal Foglio e confermato dal commissario Olli Rehn a Repubblica, due conferenze stampa su spending review e privatizzazioni). Insomma, da Saccomanni ci si attendeva maestrìa tecnica, e finora tanta maestrìa non si è vista.

Quel che certamente al ministro non si chiedeva, nemmeno da parte del Quirinale che fortemente lo volle, era il professionismo politico. Tale abilità, pur necessaria e che solo gli snob disprezzano, era infatti presente in abbondanza nel trasversalissimo Letta. Eppure Saccomanni, negli ultimi giorni, s'è atteggiato proprio a politicante di risulta, scegliendo l'autorevole tribuna del Wall Street Journal - invece che per spiegare agli investitori internazionali quanto fatto e annunciare il da farsi - per esternare in maniera banalotta e spericolata.

Così, proprio mentre il presidente del Consiglio Letta faceva appello a Forza Italia e al suo leader per marciare uniti sulle riforme istituzionali, il suo ministro non ha trovato di meglio da fare che sostenere che l'espulsione di Berlusconi dal Parlamento faciliterà l'approvazione delle riforme.

Una vulgata illogica, anti storica e che suona ancora più grottesca in bocca a un ex supertecnico della Banca d'Italia. Caro ministro, il professionismo politico non è indispensabile, a patto di non mettersi a fare politica.

 

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